giovedì, dicembre 07, 2006
ANCORA SU ALITALIA
Ritorno sulla vicenda di Alitalia in quanto mi sembra sintomatica di quello che avviene nelle aziende quando ci mette lo zampino lo Stato; premettiamo che dal 1946 il Ministero del Tesoro è intervenuto spesso e volentieri per ripianare i debiti Alitalia e adesso non lo può più fare per due motivi: il primo è che non ci sono risorse disponibili ed il secondo è che Bruxelles, cioè la Comunità Europea, non tollererebbe un intervento pesante per salvare la compagnia; ho detto “pesante” non a caso, dato che da queste cifre si può facilmente intravedere il baratro nel quale è precipitata la nostra cosiddetta compagnia di bandiera: pensate che a fronte di una capitalizzazione borsistica (cioè il valore complessivo delle azioni) pari a 1,3 miliardi di euro, ed un ricavo di poco meno di 3,5 miliardi, si ha una cifra “mostruosa” di quasi 300 milioni di euro di deficit operativo nei nove mesi di riferimento (30/9/2006).
Come si risponde a questa situazione? Mettendo sul mercato circa un 30% delle quote detenute dal Ministero del Tesoro e – per tale acquisto – si obbliga l’acquirente a lanciare una vera e propria “O.P.A.” (Offerta Pubblica di Acquisto) nella quale deve sottoscrivere alcuni impegni tassativi e cioè, l’adeguata offerta dei servizi a copertura del territorio, il mantenimento dei livelli occupazionali e dell’identità nazionale della società, del suo logo e del suo marchio.
Bisognerebbe trovare un acquirente un po’ facilone, di quelli che buttano i soldi, ma credo che quelli che c’erano siano tutti rinchiusi in manicomio; spiego meglio questa affermazione: in concreto, lo Stato – che, ripeto, mette in vendita un’azienda che fa acqua da tutte le parti .- pone dei paletti così stretti da impedire al nuovo proprietario di riorientare e riorganizzare a suo piacimento le scelte strategiche.
In pratica, si chiede al nuovo arrivato di mantenere la dimensione dell’offerta attuale, con i due aeroporti di riferimento (Roma e Milano) e tutte le rotte interne attuali, alcune delle quali fortemente penalizzate dalla concorrenza dei voli “low cost”.
Inoltre si chiede di non toccare l’attuale organico della compagnia, cioè di mantenere gli oltre 10.000 addetti (tra personale di terra e di volo) allo stesso livello operativo e retributivo; una breve parentesi: nell’editto governativo non è detto, ma forse è implicito, che deve restare “impunito” anche l’attuale tasso di assenteismo che supera il 30%, cifra che le altre società europee nemmeno ipotizzano nelle più nere previsioni.
E per finire, si chiede di mantenere l’italianità dell’azienda, con intatto logo e marchio; e se ad acquistare Alitalia fosse uno straniero (tipo Air France che è nettamente favorita al momento) la obblighiamo a gestire “due “aziende e porle sullo stesso piano operativo? Mi sembra una follia sul piano economico.
Insomma, il nuovo proprietario dovrebbe lasciare le cose esattamente come sono adesso e limitarsi a metterci i suoi soldi, al posto di quelli dello Stato italiano!!
Intanto il sindacato di categoria, il SULT, ha confermato lo sciopero del 15 dicembre prossimo; quanto alla vendita dei titoli del Tesoro ha dichiarato che “è importante stringere i tempi e privilegiare gruppi del medio o estremo oriente”.
Questa è veramente una novità: ma come il sindacato che alla faccia di tutta l’Europa, dichiara pubblicamente di voler privilegiare i gruppi orientali; non riesco a capire che cosa ci sia dietro a questa sconcertante dichiarazione.
Forse la verità è più semplice di quanto si creda e fa il paio con quella affermazione attribuita ai napoletani e che recita: “O Francia o Allemagna, purché se magna!!”.
Come si risponde a questa situazione? Mettendo sul mercato circa un 30% delle quote detenute dal Ministero del Tesoro e – per tale acquisto – si obbliga l’acquirente a lanciare una vera e propria “O.P.A.” (Offerta Pubblica di Acquisto) nella quale deve sottoscrivere alcuni impegni tassativi e cioè, l’adeguata offerta dei servizi a copertura del territorio, il mantenimento dei livelli occupazionali e dell’identità nazionale della società, del suo logo e del suo marchio.
Bisognerebbe trovare un acquirente un po’ facilone, di quelli che buttano i soldi, ma credo che quelli che c’erano siano tutti rinchiusi in manicomio; spiego meglio questa affermazione: in concreto, lo Stato – che, ripeto, mette in vendita un’azienda che fa acqua da tutte le parti .- pone dei paletti così stretti da impedire al nuovo proprietario di riorientare e riorganizzare a suo piacimento le scelte strategiche.
In pratica, si chiede al nuovo arrivato di mantenere la dimensione dell’offerta attuale, con i due aeroporti di riferimento (Roma e Milano) e tutte le rotte interne attuali, alcune delle quali fortemente penalizzate dalla concorrenza dei voli “low cost”.
Inoltre si chiede di non toccare l’attuale organico della compagnia, cioè di mantenere gli oltre 10.000 addetti (tra personale di terra e di volo) allo stesso livello operativo e retributivo; una breve parentesi: nell’editto governativo non è detto, ma forse è implicito, che deve restare “impunito” anche l’attuale tasso di assenteismo che supera il 30%, cifra che le altre società europee nemmeno ipotizzano nelle più nere previsioni.
E per finire, si chiede di mantenere l’italianità dell’azienda, con intatto logo e marchio; e se ad acquistare Alitalia fosse uno straniero (tipo Air France che è nettamente favorita al momento) la obblighiamo a gestire “due “aziende e porle sullo stesso piano operativo? Mi sembra una follia sul piano economico.
Insomma, il nuovo proprietario dovrebbe lasciare le cose esattamente come sono adesso e limitarsi a metterci i suoi soldi, al posto di quelli dello Stato italiano!!
Intanto il sindacato di categoria, il SULT, ha confermato lo sciopero del 15 dicembre prossimo; quanto alla vendita dei titoli del Tesoro ha dichiarato che “è importante stringere i tempi e privilegiare gruppi del medio o estremo oriente”.
Questa è veramente una novità: ma come il sindacato che alla faccia di tutta l’Europa, dichiara pubblicamente di voler privilegiare i gruppi orientali; non riesco a capire che cosa ci sia dietro a questa sconcertante dichiarazione.
Forse la verità è più semplice di quanto si creda e fa il paio con quella affermazione attribuita ai napoletani e che recita: “O Francia o Allemagna, purché se magna!!”.