giovedì, novembre 30, 2006
TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE
È il titolo di uno splendido film diretto nel 1976 da Alan J. Pakula e interpretato da Robert Redford e Dustin Hoffman, che narra la vicenda del Watergate, lo scandalo che costrinse il Presidente Nixon a dimettersi.
Chi ha visto il film ricorderà che tutta l’operazione è messa in piedi da due giornalisti del Washington Post, Carl Bernstein e Bob Woodward, autori del libro da cui è tratto il film e che valse a entrambi il Pulitzer; i due cronisti ricevono una soffiata da un personaggio all’interno della Casa Bianca (lo chiamano “Gola Profonda”) che svela loro il contenuto dello scandalo (le microspie messe nel quartier generale dei democratico) e dà a loro alcune indicazioni per risalire alle testimonianza indispensabili per suffragare la notizia e quindi poter pubblicare l’articolo.
Infatti, il Direttore del Washington Post, messo a conoscenza dello scoop che gli viene proposto, chiede ai due giornalisti “due conferme”, cioè due fonti diverse che possano suffragare quanto detto dall’anonimo personaggio; senza questa duplice conferma il noto quotidiano non pubblicherà proprio niente, ed infatti tutto il film ruota attorno alle ricerche che i due cronisti mettono in piedi per riuscire a trovare questa duplice conferma, unica circostanza che può indurre il direttore – fra l’altro avversario politico di Nixon – a pubblicare la storia.
Perchè vi ricordo la vicenda di questo film che è senz’altro la storia di uno scoop? Perché in questi ultimi giorni abbiamo vissuto uno strano caso: alludo al DVD di Deaglio “Uccidete la democrazia”, nel quale si ipotizza che attraverso un software fantasma, i voti bianchi e nulli, durante il transito dal Ministero dell’Interno, si siano trasformati” in voti per Forza Italia.
Ovviamente di prove neppure l’ombra; ma dirò di più: in questo caso non c’è stata neppure una “gola profonda”; si tratta soltanto di ipotesi che il barbuto giornalista – al momento Direttore del “Diario”, un giornale di nicchia – porta avanti senza la minima conferma.
Ma attenzione, perché fino a questo momento siamo “quasi” nel lecito, in quanto si può ipotizzare che Deaglio abbia tentato di “portare l’acqua al proprio mulino”, nel senso di costruire uno scoop che l’avrebbe portato alla notorietà; chi invece non ha alcuna scusante è la RAI, segnatamente il Direttore del TG1, Riotta, che ha ingoiato l’esca insieme a tutto l’amo, cioè l’ha messa in onda.
Come era facile prevedere si è scatenato un enorme putiferio e la Magistratura è stata costretta a intervenire: sono bastati due interrogatori (uno al funzionario del Ministero dell’Interno e l’altro a Deaglio) per smontare tutta l’operazione ed anzi a inquisire il giornalista per procurato allarme.
Cosa è stato a smontare il tutto? Semplice, i voti delle elezioni non passano attraverso nessuna forma computerizzata se non per essere “copiati”, ma vengono controllati e sommati rigorosamente “a mano”, quindi non c’è alcuna possibilità che l’ipotesi di Deaglio si sia potuta verificare.
Quindi, se l’autore del documentario si fosse premurato di chiedere al funzionario del Ministero dell’Interno come funzionava la sommatoria dei voti, avrebbe compreso subito che la sua ipotesi non poteva reggere.
E Riotta? Lui – a mio avviso – è più colpevole di Deaglio, in quanto non ha compiuto neppure i più elementari controlli prima di mandare in onda il documentario inquisito; eppure il bravo direttore del TG1 proviene dagli U.S.A., dove per una cosa del genere si viene licenziati in tronco; ma appena arrivato in Italia ha capito che qui è tutta un’altra cosa…..
I “soliti” che si pronunciano su tutto e tutti e che meno capiscono e più parlano (in rigoroso ordine alfabetico: Bertinotti, Diliberto, Di Pietro, Vita e Serventi Longhi) “hanno difeso il diritto alla critica e quindi il diritto a fare inchieste scomode”: ma che c’azzecca, avrebbe detto il Tonino Di Pietro di una volta!! Questa non è critica, ma inchiesta e quest’ultima è stata fatta contro ogni principio deontologico del giornalismo.
Se poi vogliamo scherzarci sopra, va tutto bene, ma guardate che questa vicenda ci mostra uno spaccato del nostro giornalismo che definire “inquietante” è il minimo: qualunque “pennivendolo” può costruire una balla clamorosa su chiunque e se il direttore la pubblica, pur in assenza del minimo di controllo sulle fonti, ma in ossequio alla “libertà di stampa”, son dolori!!.
Chi ha visto il film ricorderà che tutta l’operazione è messa in piedi da due giornalisti del Washington Post, Carl Bernstein e Bob Woodward, autori del libro da cui è tratto il film e che valse a entrambi il Pulitzer; i due cronisti ricevono una soffiata da un personaggio all’interno della Casa Bianca (lo chiamano “Gola Profonda”) che svela loro il contenuto dello scandalo (le microspie messe nel quartier generale dei democratico) e dà a loro alcune indicazioni per risalire alle testimonianza indispensabili per suffragare la notizia e quindi poter pubblicare l’articolo.
Infatti, il Direttore del Washington Post, messo a conoscenza dello scoop che gli viene proposto, chiede ai due giornalisti “due conferme”, cioè due fonti diverse che possano suffragare quanto detto dall’anonimo personaggio; senza questa duplice conferma il noto quotidiano non pubblicherà proprio niente, ed infatti tutto il film ruota attorno alle ricerche che i due cronisti mettono in piedi per riuscire a trovare questa duplice conferma, unica circostanza che può indurre il direttore – fra l’altro avversario politico di Nixon – a pubblicare la storia.
Perchè vi ricordo la vicenda di questo film che è senz’altro la storia di uno scoop? Perché in questi ultimi giorni abbiamo vissuto uno strano caso: alludo al DVD di Deaglio “Uccidete la democrazia”, nel quale si ipotizza che attraverso un software fantasma, i voti bianchi e nulli, durante il transito dal Ministero dell’Interno, si siano trasformati” in voti per Forza Italia.
Ovviamente di prove neppure l’ombra; ma dirò di più: in questo caso non c’è stata neppure una “gola profonda”; si tratta soltanto di ipotesi che il barbuto giornalista – al momento Direttore del “Diario”, un giornale di nicchia – porta avanti senza la minima conferma.
Ma attenzione, perché fino a questo momento siamo “quasi” nel lecito, in quanto si può ipotizzare che Deaglio abbia tentato di “portare l’acqua al proprio mulino”, nel senso di costruire uno scoop che l’avrebbe portato alla notorietà; chi invece non ha alcuna scusante è la RAI, segnatamente il Direttore del TG1, Riotta, che ha ingoiato l’esca insieme a tutto l’amo, cioè l’ha messa in onda.
Come era facile prevedere si è scatenato un enorme putiferio e la Magistratura è stata costretta a intervenire: sono bastati due interrogatori (uno al funzionario del Ministero dell’Interno e l’altro a Deaglio) per smontare tutta l’operazione ed anzi a inquisire il giornalista per procurato allarme.
Cosa è stato a smontare il tutto? Semplice, i voti delle elezioni non passano attraverso nessuna forma computerizzata se non per essere “copiati”, ma vengono controllati e sommati rigorosamente “a mano”, quindi non c’è alcuna possibilità che l’ipotesi di Deaglio si sia potuta verificare.
Quindi, se l’autore del documentario si fosse premurato di chiedere al funzionario del Ministero dell’Interno come funzionava la sommatoria dei voti, avrebbe compreso subito che la sua ipotesi non poteva reggere.
E Riotta? Lui – a mio avviso – è più colpevole di Deaglio, in quanto non ha compiuto neppure i più elementari controlli prima di mandare in onda il documentario inquisito; eppure il bravo direttore del TG1 proviene dagli U.S.A., dove per una cosa del genere si viene licenziati in tronco; ma appena arrivato in Italia ha capito che qui è tutta un’altra cosa…..
I “soliti” che si pronunciano su tutto e tutti e che meno capiscono e più parlano (in rigoroso ordine alfabetico: Bertinotti, Diliberto, Di Pietro, Vita e Serventi Longhi) “hanno difeso il diritto alla critica e quindi il diritto a fare inchieste scomode”: ma che c’azzecca, avrebbe detto il Tonino Di Pietro di una volta!! Questa non è critica, ma inchiesta e quest’ultima è stata fatta contro ogni principio deontologico del giornalismo.
Se poi vogliamo scherzarci sopra, va tutto bene, ma guardate che questa vicenda ci mostra uno spaccato del nostro giornalismo che definire “inquietante” è il minimo: qualunque “pennivendolo” può costruire una balla clamorosa su chiunque e se il direttore la pubblica, pur in assenza del minimo di controllo sulle fonti, ma in ossequio alla “libertà di stampa”, son dolori!!.