mercoledì, novembre 01, 2006
GLI "AFFAMATI" NEL MONDO
Proprio nella settimana in cui un illustre storico ha svelato l’infondatezza della battuta attribuita a Maria Antonietta che, vedendo alcune persone affamate e saputo che erano in rivolta perché non c’era più pane, ebbe a dire la famosa frase “ma se non c’è pane, che mangino brioches”, un rapporto della F.A.O. rivela che il problema degli “affamati” nel mondo è lungi dall’essere risolto, anzi potremmo dire che va peggio di quanto si poteva ragionevolmente prevedere.
Jacques Diouf, direttore generale della F.A.O., non ha esitato a parlare di fallimento nel presentare il rapporto annuale sullo stato dell’”insicurezza alimentare nel mondo”: l’obiettivo proclamato nel 1996, cioè il dimezzamento dei denutriti nel mondo entro il 2015 (raggiungere quota 412 milioni) è irraggiungibile in quanto – secondo dati aggiornati al 2003, quindi otto anni dopo la stesura del piano – gli affamati della terra sono 854 milioni, appena tre milioni in meno di quelli rilevati nel 1990; lo scostamento è così irrisorio, nei cosiddetti “grandi numeri”, che è praticamente annullabile dalla oscillazione statistica.
Quindi, siamo da capo a dodici – come di dice da noi – e senza grandi idee in testa per far decollare il famoso piano; lo stesso Diouf ha detto: “Il mondo è più ricco oggi di dieci anni fa; abbiamo una maggiore disponibilità di cibo: le conoscenze e le risorse per ridurre la fame esistono. Quello che manca è la volontà politica di utilizzare queste risorse in favore degli affamati”.
Tornando alla frase attribuita (erroneamente, come abbiamo adesso scoperto) a Maria Antonietta, si trattava di un modo di far vedere il distacco tra classe di potere e gente affamata: in concreto, significava che le classi dirigenti sono talmente distanti da coloro che hanno bisognio, da non intravederne le necessità e, quindi, calza a pennello la presunta idiozia sulle brioches.
E le attuali classi politiche cosa fanno? Una prima risposta viene da Tony Blair che ha richiamato i politici di tutto il mondo in merito al deterioramento ambientale, prefigurando scenari apocalittici in caso di riscaldamento del pianeta e suggerendo anche alcuni “modi nuovi” per trovare il cibo che dovrebbero favorire sia la popolazione affamata e sia il la Terra in ebollizione: nessuno mi toglie dalla testa che legare insieme i due problemi potrebbe anche risultare un modo per non affrontarne nessuno, ma potrei sbagliare.
Il rapporto cita anche alcuni “esperimenti” fatti in questi ultimi anni, tra i quali il più interessante mi sembra quello messo a punto nel 2003 dal Presidente brasiliano, Lula, che prevede la fornitura diretta di elementi essenziali, misure per agevolare l’accesso al cibo e anche sussidi monetari per le famiglie più bisognose; tutte queste forme di aiuti vengono subordinati alla condizione che le famiglie si impegnino a mandare i loro figli a scuola ed a sottoporli a regolari vaccinazioni nonché a visite mediche periodiche.
Come si vede una forma di ricatto, a fin di bene quanto vogliamo, ma sempre ricatto è; dobbiamo chiederci se questa forma di regolare l’assistenza ad alcune condizioni ha qualche risultato, soprattutto nell’ipotesi di una maggiore alfabetizzazione e conseguentemente una minore povertà – specie in campo antropologico – in modo da poter affrontare le sfide future che attendono il paese con maggiori conoscenze di oggi: è una scommessa, ma una scommessa fatta su un cavallo che non perde mai, l’istruzione.
Jacques Diouf, direttore generale della F.A.O., non ha esitato a parlare di fallimento nel presentare il rapporto annuale sullo stato dell’”insicurezza alimentare nel mondo”: l’obiettivo proclamato nel 1996, cioè il dimezzamento dei denutriti nel mondo entro il 2015 (raggiungere quota 412 milioni) è irraggiungibile in quanto – secondo dati aggiornati al 2003, quindi otto anni dopo la stesura del piano – gli affamati della terra sono 854 milioni, appena tre milioni in meno di quelli rilevati nel 1990; lo scostamento è così irrisorio, nei cosiddetti “grandi numeri”, che è praticamente annullabile dalla oscillazione statistica.
Quindi, siamo da capo a dodici – come di dice da noi – e senza grandi idee in testa per far decollare il famoso piano; lo stesso Diouf ha detto: “Il mondo è più ricco oggi di dieci anni fa; abbiamo una maggiore disponibilità di cibo: le conoscenze e le risorse per ridurre la fame esistono. Quello che manca è la volontà politica di utilizzare queste risorse in favore degli affamati”.
Tornando alla frase attribuita (erroneamente, come abbiamo adesso scoperto) a Maria Antonietta, si trattava di un modo di far vedere il distacco tra classe di potere e gente affamata: in concreto, significava che le classi dirigenti sono talmente distanti da coloro che hanno bisognio, da non intravederne le necessità e, quindi, calza a pennello la presunta idiozia sulle brioches.
E le attuali classi politiche cosa fanno? Una prima risposta viene da Tony Blair che ha richiamato i politici di tutto il mondo in merito al deterioramento ambientale, prefigurando scenari apocalittici in caso di riscaldamento del pianeta e suggerendo anche alcuni “modi nuovi” per trovare il cibo che dovrebbero favorire sia la popolazione affamata e sia il la Terra in ebollizione: nessuno mi toglie dalla testa che legare insieme i due problemi potrebbe anche risultare un modo per non affrontarne nessuno, ma potrei sbagliare.
Il rapporto cita anche alcuni “esperimenti” fatti in questi ultimi anni, tra i quali il più interessante mi sembra quello messo a punto nel 2003 dal Presidente brasiliano, Lula, che prevede la fornitura diretta di elementi essenziali, misure per agevolare l’accesso al cibo e anche sussidi monetari per le famiglie più bisognose; tutte queste forme di aiuti vengono subordinati alla condizione che le famiglie si impegnino a mandare i loro figli a scuola ed a sottoporli a regolari vaccinazioni nonché a visite mediche periodiche.
Come si vede una forma di ricatto, a fin di bene quanto vogliamo, ma sempre ricatto è; dobbiamo chiederci se questa forma di regolare l’assistenza ad alcune condizioni ha qualche risultato, soprattutto nell’ipotesi di una maggiore alfabetizzazione e conseguentemente una minore povertà – specie in campo antropologico – in modo da poter affrontare le sfide future che attendono il paese con maggiori conoscenze di oggi: è una scommessa, ma una scommessa fatta su un cavallo che non perde mai, l’istruzione.