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domenica, ottobre 15, 2006

LA CINA E' ANCORA PIU' VICINA 

Oggi, in televisione, ho visto un servizio giornalistico che mostrava tre giovani che, qualche anno fa, si sono messi in proprio ed hanno preso a costruire delle biciclette, un po’ speciali, con le quali hanno avuto un grande successo: una elementare norma di marketing è quella che per lanciare un prodotto del genere bisogna farlo usare ad un personaggio famoso, il quale diventa testimonial involontario di una ipotetica campagna pubblicitaria; comunque sia, i tre giovani – ma anche il giornalista – hanno detto più volte che questo è “il sistema per battere i cinesi”.
Se ci contentiamo di questi successi in industrie di nicchia, possiamo anche sorridere ai tre giovani che sono riusciti a fare andare sulla loro bicicletta addirittura la candidata alla Presidenza della Repubblica francese; se invece riflettiamo con maggiore calma ed attenzione, ci accorgiamo che è e rimane un successo esclusivamente “di nicchia”, con tutto quel che ne consegue: bello perché nasce da un investimento iniziale di soli 50 mila euro, ma ridotto nei numeri espansivi.
Per affrontare la battaglia con i cinesi dobbiamo ricordarci quello che abbiamo fatto noi nell’immediato dopoguerra, quando abbiamo raggiunto il favoloso boom economico che ha portato ad un gran numero di italiani la mitica “seicento”: ricordate? Paghe basse, accordi con i sindacati per fare straordinari a tutto spiano e via discorrendo con una miriade di alterazioni nel rapporto con i lavoratori, il tutto guardato con occhi benigni da un sindacato che proteggeva soprattutto l’entità del lavoro.
Negli anni ’80 e ’90, quando queste condizioni socio-economiche non c’erano più nel nostro paese, i bravi industriali italioti hanno pensato di andare a dislocare le loro aziende nei Paesi dove i lavoratori erano ancora sottopagati, sottoassicurati, privi di qualsiasi garanzia sindacale; il tutto alla faccia del tanto pubblicizzato “Made in Italy” che, per i gonzi che ci credono, sarebbe stato il grimaldello che ci ha permesso di entrare nelle porte dei paesi occidentali, quando invece l’ingresso ci è stato permesso per i prezzi bassi che eravamo in grado di praticare ai nostri prodotti: cioè come fa la Cina!
Adesso non ci basta più neppure la dislocazione aziendale in Albania, in Romania o paesi similari, in quanto anche lì – come in Italia – i prezzi della mano d’opera non sono competitivi con il nuovo concorrente che è balzato prepotentemente all’orizzonte: la Cina, quell’immenso paese apparentemente comunista ma in effetti retto da una delle “solite” dittature sullo stile del Cile di Pinochet ed altri paesi sudamericani.
Ed assomiglia anche alla Russia di Putin, dove si riesce a far convivere – almeno in apparenza – dittatura e libero mercato; c’è però una differenza – e non di poco conto – nello stile operativo della Cina e cioè quello di essere più attiva, anzi superattiva, rispetto alle dittature che ci sono o ci sono state: ecco questa è la caratteristica che deve farci più paura, perché in qualche modo ci assomiglia, specie nelle peggiori caratteristiche della nostra economia.
Comunque sia, ci sono due modi di affrontare il futuro: o aspettare l’ineluttabile decadenza del nostro paese – così come di tanti altri del mondo occidentale – allo stesso modo di come fecero i romani mentre imperversavano i barbari; oppure diventare un “paese di nicchia”, specializzato in alcuni specifici manufatti, tipo le biciclette dei tre ragazzi, alle quali si possono aggiungere tante altre cose che riusciamo a produrre: i numeri sono bassi, ma almeno in questi campi saremmo ai vertici!!

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