domenica, ottobre 01, 2006
CHE TIPO DI PAESE STIAMO DIVENTANDO?
Le ultime cose che mi è capitato di vedere riguardo al nostro bellissimo paese, mi inducono a fare – insieme a voi – alcune riflessioni sulle domande tipiche, da che mondo è mondo, e cioè: “chi siamo e dove andiamo?”.
Chi siamo: si fa presto a dirlo, basandoci su un paio di parametri dei quali conosciamo le cifre; il primo dice che il 5% degli alunni che frequentano le scuole non è italiano e tra venti anni sarà il 30%, ed il secondo indica in 3 milioni i lavoratori extra comunitari.
Da queste due cifre si capisce chiaramente che entro dieci, al massimo venti anni, la nostra sarà una società multietnica sul tipo di altre che vediamo in Europa, ma ancora prima negli Stati Uniti d’America.
Il punto è vedere se siamo preparati, soprattutto psicologicamente, ad affrontare questa mutazione antropologica della nostra società: a vedere come ci comportiamo adesso sarei abbastanza scettico, ma ricordiamoci che abbiamo ancora degli anni per imparare; a cosa mi riferisco? Ancora – come ho detto varie volte – alle violenze sulle donne che continuiamo ad imputare a giovani magrebini, salvo poi scoprire che è stato un italiano dalla pelle bianca o addirittura un parente della vittima (ricordiamoci che la più alta percentuale di violenze sessuali ha luogo in casa).
Diciamo francamente che “l’uomo nero” è per noi un “diverso” che – proprio in virtù di questa caratteristica – ci incute timore; abbiamo poi degli odi ancestrali nei confronti del “nero” e ciò soprattutto in base alla loro potenza sessuale che noi bianchi rachitici abbiamo sempre invidiato loro.
Non è facile superare questi stereotipi ed affrontare il problema nella sua giusta realtà, la quale si racchiude in pochissime parole: questa è gente che scappa dai propri luoghi dove – a parte le lotte etniche che mietono vittime come mosche – si continua a morire di fame; e i padri scappano – soli o in compagnia della famiglia – sperando di andare incontro ad un futuro migliore, nel quale vivere e mettere su casa: molte volte queste speranze sono vanificate dalla nostra cattiveria, ma loro continuano a provarci.
In un’azienda che conosco, c’è un caso che ci deve far riflettere: un senegalese cinquantenne, laureato in sociologia nel proprio paese, viene in Italia e trova un posto da saldatore: è il meglio che può offrirgli il mercato e lui ovviamente accetta; lavora bene,trova un datore di lavoro onesto, guadagna il giusto e risparmia al massimo per mandare a casa il maggior numero di soldi possibili: in dieci anni si è già comprato due case in Senegal per altrettanti fratelli rimasti nel paese africano e adesso sta mettendo da parte i soldi per comprarsene una per se e la sua famiglia.
Cosa significa questo esempio? Anzitutto ci conferma che questi emigranti non rappresentano un “pericolo” per i nostri lavoratori e quindi ci induce anche a rivedere i nostri stereotipi su questa gente che crediamo tutta ignorante e affamata; in parte lo sarà, ma in altra parte dobbiamo vedere meglio caso per caso.
Chiudiamo con la scuola: se è vero che tra venti anno il 30% degli alunni sarà “non italiano”, vi rendete conto dei mastodontici problemi che si stanno ponendo ad una struttura asfittica e poco produttiva come la nostra scuola, nella quale – è discussione udita da me proprio oggi – ci fermiamo ancora a contestare i programmi ministeriali sulla base dei periodi storici e su come questi vengono “spalmati” nell’arco della vita scolastica: vi immaginate i nostri amici “non italiani” ai quali viene propinato per ben tre volte nell’arco della vita studentesca “I promessi sposi” del Manzoni?
Ed ancora nessuno ha lanciato uno straccio di idea su come affrontare questo futuro!!
Chi siamo: si fa presto a dirlo, basandoci su un paio di parametri dei quali conosciamo le cifre; il primo dice che il 5% degli alunni che frequentano le scuole non è italiano e tra venti anni sarà il 30%, ed il secondo indica in 3 milioni i lavoratori extra comunitari.
Da queste due cifre si capisce chiaramente che entro dieci, al massimo venti anni, la nostra sarà una società multietnica sul tipo di altre che vediamo in Europa, ma ancora prima negli Stati Uniti d’America.
Il punto è vedere se siamo preparati, soprattutto psicologicamente, ad affrontare questa mutazione antropologica della nostra società: a vedere come ci comportiamo adesso sarei abbastanza scettico, ma ricordiamoci che abbiamo ancora degli anni per imparare; a cosa mi riferisco? Ancora – come ho detto varie volte – alle violenze sulle donne che continuiamo ad imputare a giovani magrebini, salvo poi scoprire che è stato un italiano dalla pelle bianca o addirittura un parente della vittima (ricordiamoci che la più alta percentuale di violenze sessuali ha luogo in casa).
Diciamo francamente che “l’uomo nero” è per noi un “diverso” che – proprio in virtù di questa caratteristica – ci incute timore; abbiamo poi degli odi ancestrali nei confronti del “nero” e ciò soprattutto in base alla loro potenza sessuale che noi bianchi rachitici abbiamo sempre invidiato loro.
Non è facile superare questi stereotipi ed affrontare il problema nella sua giusta realtà, la quale si racchiude in pochissime parole: questa è gente che scappa dai propri luoghi dove – a parte le lotte etniche che mietono vittime come mosche – si continua a morire di fame; e i padri scappano – soli o in compagnia della famiglia – sperando di andare incontro ad un futuro migliore, nel quale vivere e mettere su casa: molte volte queste speranze sono vanificate dalla nostra cattiveria, ma loro continuano a provarci.
In un’azienda che conosco, c’è un caso che ci deve far riflettere: un senegalese cinquantenne, laureato in sociologia nel proprio paese, viene in Italia e trova un posto da saldatore: è il meglio che può offrirgli il mercato e lui ovviamente accetta; lavora bene,trova un datore di lavoro onesto, guadagna il giusto e risparmia al massimo per mandare a casa il maggior numero di soldi possibili: in dieci anni si è già comprato due case in Senegal per altrettanti fratelli rimasti nel paese africano e adesso sta mettendo da parte i soldi per comprarsene una per se e la sua famiglia.
Cosa significa questo esempio? Anzitutto ci conferma che questi emigranti non rappresentano un “pericolo” per i nostri lavoratori e quindi ci induce anche a rivedere i nostri stereotipi su questa gente che crediamo tutta ignorante e affamata; in parte lo sarà, ma in altra parte dobbiamo vedere meglio caso per caso.
Chiudiamo con la scuola: se è vero che tra venti anno il 30% degli alunni sarà “non italiano”, vi rendete conto dei mastodontici problemi che si stanno ponendo ad una struttura asfittica e poco produttiva come la nostra scuola, nella quale – è discussione udita da me proprio oggi – ci fermiamo ancora a contestare i programmi ministeriali sulla base dei periodi storici e su come questi vengono “spalmati” nell’arco della vita scolastica: vi immaginate i nostri amici “non italiani” ai quali viene propinato per ben tre volte nell’arco della vita studentesca “I promessi sposi” del Manzoni?
Ed ancora nessuno ha lanciato uno straccio di idea su come affrontare questo futuro!!