martedì, settembre 26, 2006
UN NOSTRO MILITARE UCCISO IN AFGANISTAN
Questa mattina, in occasione di una normale operazione di controllo eseguita dalle nostre Forze Armate con tre mezzi blindati, una bomba collocata al lato della strada, è deflagrata in coincidenza del passaggio del terzo veicolo creando un morto, due feriti gravi e tre leggeri; è naturale che tra le forze politiche è scoppiata nuovamente la polemica sull’invio di queste truppe all’estero, proprio adesso che si sta discutendo in Parlamento l’autorizzazione alla missione di pace in Libano.
Tutte queste operazioni svolte dalle nostre truppe sotto l’egida di NATO o ONU, sono marchiate come operazioni di “peacekeeping”, cioè mantenimento della pace: prima osservazione da fare è che se la pace c’è già, mantenerla sembrerebbe facile e invece così non è.
I paesi interessati a queste operazioni sono attualmente tre: Iraq, Libano e Afganistan; se togliamo il Libano – nel quale siamo arrivati da poco tempo – in entrambi i luoghi ci sono stati attentati e morti italiani.
Cerchiamo allora di fare un discorso un po’ più generale che prende l’avvio da una domanda di base: è possibile esportare la democrazia?
Rispondo: non solo non è possibile, ma non è neppure gradito dai paesi che sono destinatari di questa iniziativa, in quanto questa democrazia viene vista come un qualcosa non adatto al loro modo di vita.
Mi spiego meglio: quei tre paesi che ho sopra elencati sono tutti a maggioranza islamica, che hanno avuto fino ad un certo momento una “teocrazia” che – a vedere i risultati – è addirittura più feroce di una dittatura.
Però, evidentemente alla maggioranza dei cittadini di questi paesi sta bene quel tipo di governo, quel tipo di amministrazione della cosa pubblica e della giustizia, quel tipo di dipendenza dalle leggi coraniche.
Ed allora mi chiedo – e vi chiedo – come è possibile che in pochi anni si possa passare da una dittatura a sfondo religioso ad una democrazia, sia pure con le imperfezioni del caso e le ruberie che l’occidente ha portato con se sulla punta dei fucili.
Da aggiungere poi che la “sharia” impone a questi esaltati di contrapporre alla nostra peacekeeping una forma brutale e violenta di terrorismo; sono i loro capi, quelli dai quali vorremmo liberarli che li guidano contro l’occidente e noi stiamo lì a prendere le bombe, gli attentati, credendo di essere lì per portare la pace!
Come potremmo fare a disincagliarsi da questa situazione? Non è facile perché gli abitanti di questi paesi ci vedono come “invasori”, mentre noi ci sentiamo dei pacificatori; il tutto poi viene acuito – in particolare per l’Afganistan – dalla questione della droga, in base alla quale siamo andati a cacciare il naso anche in questo sudicio – ma redditizio – mercato, creando più scontenti che altro.
Una parola chiave è stata forse detta dal Papa nell’incontro sull’Islam, quando ha affermato che per rendere fruttifero il dialogo interreligioso è indispensabile fare ricorso alla “reciprocità”: questo ad indicare che non è tollerabile che tu islamico possa continuare nelle tue pratiche, anche esteriori, quando sei nel nostro paese e che io, quando sono nel tuo paese devo adottare gli usi specifici dell’islam (velo, barba, ecc).
Ecco, se riusciremo a vedere le cose del mondo con questa ottica forse faremo dei progressi: si può parlare di tutto, ma con senso di reciprocità che dimostra la disponibilità al dialogo e che lo fa diventare veramente fruttifero.
Tutte queste operazioni svolte dalle nostre truppe sotto l’egida di NATO o ONU, sono marchiate come operazioni di “peacekeeping”, cioè mantenimento della pace: prima osservazione da fare è che se la pace c’è già, mantenerla sembrerebbe facile e invece così non è.
I paesi interessati a queste operazioni sono attualmente tre: Iraq, Libano e Afganistan; se togliamo il Libano – nel quale siamo arrivati da poco tempo – in entrambi i luoghi ci sono stati attentati e morti italiani.
Cerchiamo allora di fare un discorso un po’ più generale che prende l’avvio da una domanda di base: è possibile esportare la democrazia?
Rispondo: non solo non è possibile, ma non è neppure gradito dai paesi che sono destinatari di questa iniziativa, in quanto questa democrazia viene vista come un qualcosa non adatto al loro modo di vita.
Mi spiego meglio: quei tre paesi che ho sopra elencati sono tutti a maggioranza islamica, che hanno avuto fino ad un certo momento una “teocrazia” che – a vedere i risultati – è addirittura più feroce di una dittatura.
Però, evidentemente alla maggioranza dei cittadini di questi paesi sta bene quel tipo di governo, quel tipo di amministrazione della cosa pubblica e della giustizia, quel tipo di dipendenza dalle leggi coraniche.
Ed allora mi chiedo – e vi chiedo – come è possibile che in pochi anni si possa passare da una dittatura a sfondo religioso ad una democrazia, sia pure con le imperfezioni del caso e le ruberie che l’occidente ha portato con se sulla punta dei fucili.
Da aggiungere poi che la “sharia” impone a questi esaltati di contrapporre alla nostra peacekeeping una forma brutale e violenta di terrorismo; sono i loro capi, quelli dai quali vorremmo liberarli che li guidano contro l’occidente e noi stiamo lì a prendere le bombe, gli attentati, credendo di essere lì per portare la pace!
Come potremmo fare a disincagliarsi da questa situazione? Non è facile perché gli abitanti di questi paesi ci vedono come “invasori”, mentre noi ci sentiamo dei pacificatori; il tutto poi viene acuito – in particolare per l’Afganistan – dalla questione della droga, in base alla quale siamo andati a cacciare il naso anche in questo sudicio – ma redditizio – mercato, creando più scontenti che altro.
Una parola chiave è stata forse detta dal Papa nell’incontro sull’Islam, quando ha affermato che per rendere fruttifero il dialogo interreligioso è indispensabile fare ricorso alla “reciprocità”: questo ad indicare che non è tollerabile che tu islamico possa continuare nelle tue pratiche, anche esteriori, quando sei nel nostro paese e che io, quando sono nel tuo paese devo adottare gli usi specifici dell’islam (velo, barba, ecc).
Ecco, se riusciremo a vedere le cose del mondo con questa ottica forse faremo dei progressi: si può parlare di tutto, ma con senso di reciprocità che dimostra la disponibilità al dialogo e che lo fa diventare veramente fruttifero.