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domenica, settembre 10, 2006

ECCOMI TORNATO DA VENEZIA 

Come avevo promesso il 27 agosto, appena tornato dalla Mostra del Cinema di Venezia, sono subito a fornirvi un resoconto di quanto accaduto: anzitutto l’atmosfera che si respirava non era delle migliori, in quanto nessuno dei tanti politici presentatosi a fare passerella ha potuto assicurare un qualche forma di intervento contro l’analoga (o quasi) manifestazione che si terrà a Roma tra un mese circa; e questo è stato visto come uno schiaffo alla vecchia mostra che festeggiava quest’anno il 63esimo compleanno e che il prossimo anno ha annunciato una gustosa novità: una Sezione interamente dedicata al cinema gay; staremo a vedere!
Cosa dire dei premi? Scontato quello di migliore attrice a Helen Mirren per l’interpretazione di Elisabetta II nel film “The Queen”, il leone d’oro è stato assegnato ad un film cinese dal titolo impronunciabile (“Sanxia Haoren”) e agli italiani sono andate le briciole: appena un Leone d’argento “rivelazione” (inventato per l’occasione) al film di Crialese “Nuovomondo”; confesso subito che non sono in sintonia con la Giuria, in quanto il mio candidato era “La Stella che non c’è” di Gianni Amelio che a mio giudizio avrebbe meritato se non il Leone d’Oro, almeno quello d’argento, entrambi invece attribuiti ad opere straniere.
Non vorrei però che il mio giudizio fosse inquinato dall’ammirazione del protagonista del film – interpretato da uno splendido Sergio Castellitto – anche perché ho trovato grosse somiglianze, sotto il profilo umano e psicologico, con un mio caro amico.
Comunque sia, poiché il film uscirà senz’altro a breve nelle sale italiane, vi fornisco, qui di seguito, l’articolo che ho scritto subito dopo averlo visto:

E’ la storia di Vincenzo Bonavolontà (il cognome è tutto un programma per le avventure che seguiranno), manutentore specializzato di un altoforno che viene smantellato e venduto in blocco ai cinese; ovviamente tutte le maestranze sono a casa e, mentre si stanno definendo gli ultimi accordi, gli operai sfilano sotto la fabbrica con cartelli e striscioni; Vincenzo, invece di sfilare, chiede di essere ricevuto dal capo della delegazione cinese, Chong, e – attraverso le stentate traduzioni di una ragazzina, Liu Hua – informa gli acquirenti che l’altoforno ha un difetto che ha già provocato gravi problemi, compresi dei danni alle maestranze; la traduzione della ragazza non è delle più fedeli e Vincenzo arriva ad arrabbiarsi e a “sostituire” la giovane Liu nella traduzione del problema che, lui è certo di risolvere entro la data dello smantellamento delle attrezzature, smantellamento che si raccomanda di effettuare con calma e non usando la fiamma ossidrica per risparmiare tempo.
Ovviamente i cinesi se ne fregano dei consigli del signor Bonavolontà e – usando la fiamma ossidrica – smantellano tutta la fabbrica in un tempo record, cosicché Vincenzo, quando arriva con una valvola da lui modificata, non trova più niente: il materiale è già partito per la Cina.
Armato di una incredibile buona volontà –ecco il richiamo al cognome – il nostro Vincenzo non si perde d’animo e si reca a Shangai dove ha la prima sorpresa: coloro che hanno condotto l’affare in Italia sono nient’altro che dei “brokers” che hanno acquistato la fabbrica per poi rivenderla in Cina e, il signor Chong che aveva condotto la trattativa non è più con la loro azienda, è stato “dismesso”, come dicono loro e, per quanto riguarda l’azienda destinataria del materiale, non sanno o non vogliono dire il nome.
Neppure queste difficoltà “smontano” Vincenzo che, dovendo affrontare una ricerca, si mette alla caccia di Liu, la giovane interprete conosciuta in Italia; all’inizio la ragazza gli tiene il muso perché l’intervento dell’uomo al tavolo della trattativa aveva fatto licenziare la giovane, ma poi, forse per simpatia, forse attratta dalla possibilità di guadagnare dei soldi, accetta di accompagnarlo.
Nella prima fabbrica i due non arrivano neppure a parlare con i dirigenti, perché già a livello di “sicurezza” vengono bloccati e Vincenzo, per colpa della valvola sospetta, viene considerato addirittura un bombarolo ed incarcerato; liberato per l’intervento della ragazza, decide di continuare la ricerca della fabbrica ed inizia un viaggio che lo porta dalle acque del Fiume Azzurro fino alle porte della Mongolia: i due si fermeranno nel villaggio natio di Liu, dove Vincenzo conosce la nonna e il figlio segreto della ragazza, addentrandosi sempre più nella Cina arcaica da tutti conosciuta: finalmente in una cittadina troveranno la fabbrica che ha l’altoforno acquistato in Italia: Vincenzo consegna il suo marchingegno ad un operaio che, con grande indifferenza annuncia ai compagni che è arrivata dall’Italia “un’altra” valvola e la getta in un bidone dei rifiuti.
Vincenzo e Liu che si erano persi in una fermata del viaggio, si ritrovano in una stazione ferroviaria e entrambi – seduti vicini – guardano verso l’orizzonte: lei gli chiede (in cinese) se è riuscito a consegnare la valvola e lui gli risponde che ha avuto fortuna.
La struttura narrativa si compone di quattro parti abbastanza ben distinte tra loro: la prima va dalla vendita dell’acciaieria all’arrivo di Vincenzo in Cina ed al primo insuccesso nella ricerca della fabbrica cui consegnare la valvola modificata. In questo blocco abbiamo una prima visione della realtà cinese (precisamente di Shangai, autentica megalopoli) con i numerosi grattacieli, le migliaia di biciclette che ci sono nelle strade, ma con la solita burocrazia aziendale che esiste anche da noi (tutto il mondo è paese!), laddove Vincenzo, anziché essere ringraziato per avere sostenuto a sue spese l’intervento sulla valvola ed essere poi venuto a consegnare il risultato direttamente in Cina, viene accolto freddamente e, in pratica, invitato a togliersi rapidamente di torno.
Ma il signor Buonavolontà non si arrende – e qui inizia la seconda parte del film – e, in compagnia della ragazza, inizia un viaggio che lo porta ad attraversare varie parti della Cina e, dalle città (loro le chiamano cittadine ma hanno 8 milioni di abitanti) con enormi grattacieli, la cui caratteristica è quella di non avere ascensore fino al decimo piano e di averne uno dal decimo in poi, ma a pagamento. Comincia così a conoscere un po’ meglio quello smisurato paese, con le sue bellezze mozzafiato (il Fiume Azzurro) e le rovine ambientali (lo stesso fiume che è stato utilizzato per una gigantesca diga che porterà elettricità a varie provincie, ma che ha costretto due milioni di cinesi ad andarsene dalle proprie case. Conosce anche la Cina rurale del villaggio dove abita la nonna e il figlio (segreto, perché il padre non lo ha riconosciuto), dove la realtà che si respira è tutta diversa da quella della Cina che avanza, con le proprie conquiste e la propria tecnologia.
Ed è in questo blocco che Vincenzo comincia a premere su Liu perché lo lasci proseguire da solo nella ricerca e se ne torni dalla nonna e dal bambino: la ragazza non accetta e vuole terminare quella che lei forse considera una sorta di missione; approfittando di una dormita della fanciulla, Vincenzo l’abbandona –lasciandole comunque molti soldi – e continua la ricerca della fabbrica con l’altoforno italiano.
Nell’ultimo blocco abbiamo il coronamento delle fatiche di Vincenzo che, finalmente, riesce a trovare la fabbrica cui consegnare la nuova valvola: il signor Buonavolontà che troviamo in quest’ultima città è ben diverso da quello che ha iniziato la ricerca, forse perché è senza Liu, forse perché si sta rendendo conto dell’inutilità di tutte le sue fatiche, fatto sta che la valvola –anziché ad un alto esponente dell’azienda – viene affidata al primo operaio che trova, senza fornire spiegazioni, senza attendere ringraziamenti, desideroso soltanto di considerare conclusa questa avventura.
E poi abbiamo l’epilogo, la scena girata alla stazione dove si ritrova Vincenzo, indirizzatovi anche da un buffo cinese con una strana mimica, e dove si trova a sedere sul bordo della pensilina accanto a Liu, che – a spiegazione di come abbia fatto ad arrivare – commenta che “la strada diritta è sempre la più breve e che i binari del treno sono i più diritti”.
E la ragazza rivolge a Vincenzo la domanda (in cinese) che – dalla risposta – è una richiesta di come sia andata con la valvola e alla quale Vincenzo risponde (quindi ha capito cosa la ragazza gli ha chiesto) che “è andato tutto bene, ho avuto fortuna”; e sulle immagini dei due seduti accanto – ma non vicinissimi – che guardano verso l’orizzonte il film termina.
L’opera è costruita attorno al personaggio di Vincenzo, un uomo nervoso (così lo definisce Liu) ma intriso di valori antichi ma sempre attualissimi, anche se forse fuori moda (da notare che l’uomo dice alla ragazza che forse è venuta l’ora che anche lui acquisti un cellulare) e questi valori vengono portati in un paese che – partendo da pilastri di saggezza – sta costruendo un paese sempre più moderno ma anche pieno di forti contraddizioni.
In questo contesto esiste il rapporto umano tra Vincenzo e Liu che termina con lei che gli rivolge l’ultima domanda riappropriandosi della sua lingua e con lui che capisce questa domanda e gli risponde in italiano: in pratica, l’unione tra i due personaggi avverrà sulle loro intrinseche caratteristiche nazionali, senza che vi sia “conquista” da parte di nessuno di loro; ma se poi questo legame ci sarà e produrrà effetti, se cioè una ragazzina giovanissima ma già piena di “errori” (il figlio avuto da uno che l’ha abbandonata, il rapporto troncato con i genitori, il non avere terminato l’Università, ecc) potrà essere in sintonia con una sorta di “orso”, buono ma brontolone, solitario e pieno di fissazioni come Vincenzo, il film non lo esplicita e il regista lascia i due personaggi seduti l’uno accanto all’altro, senza far loro compiere nessun gesto che ci possa indicare il loro futuro: forse l’autore ha avuto anche un senso di pudore che lo ha indotto a trattare in questo modo questi due splendidi personaggi.
Film quindi che giudico buono, anzi molto buono, direi da premiare, con la puntualizzazione che la prima parte dell’opera è superiore alla seconda, laddove esistono alcune cedenze di ordine strutturale e con qualche caduta di ritmo che però non inficia la validità dell’intero impianto cinematografico.

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