giovedì, luglio 06, 2006
FORTE CON I DEBOLI, DEBOLE CON I FORTI
E’ un vecchio adagio che da sempre caratterizza lo Stato – da qualsiasi partito o coalizione sia guidato – che discende direttamente dall’ottusità tipica di ogni “burocrazia” e, in particolare della nostra.
Per sostenere questo assunto, voglio raccontarvi un ultimo episodio che ho riscontrato sui quotidiani e che si è svolto – sarebbe meglio dire che si sta svolgendo – in un paese in Provincia di Arezzo: la storia ha inizio nel 1970 ed ha per protagonista un bambino di tre mesi che chiameremo Ivan; il bimbo cresce sanissimo, finché non giunge la data fatidica di compiere la vaccinazione antipolio: quelle poche gocce che venivano somministrate per preservarlo da una terribile malattia, in effetti lo condannano alla disabilità perenne, con una diagnosi che in termini scientifici recita encefalopatia epilettogena e, in termini concreti, spasmi e convulsioni.
In sostanza la vita del piccolo e dell’intera famiglia cambia radicalmente; solo dopo trent’anni (e siamo nel 2000) lo Stato riconosce il nesso di causalità tra vaccino e malattia e due anni dopo – siamo nel 2002 – stabilisce un rimborso di 70.644 euro (poco più di quanto incassa un alto burocrate per un mese di “lavoro”) e un indennizzo, direi una sorta di “pensione” di 620 euro mensili (non viene specificato se c’è il mese doppio per Natale).
Ed ecco che arriva il “forte con i deboli”: alla disgraziata madre che vive con quelle miserie che lo stato gli “passa”, giunge una cartella esattoriale di 2.831,65 euro per cumulo di arretrati per il trasporto di Ivan al Centro Diurno gestito da una Comunità Montana dove il giovane viene accompagnato giornalmente da un’auto della cooperativa e riaccompagnato a casa alla sera; alle famiglie dei pazienti viene chiesto una compartecipazione alla spesa di 50 euro mensili (quindi direi quasi “simbolica”) che la madre di Ivan si rifiuta di pagare e si rivolge in un primo tempo alla Commissione Tributaria Provinciale (che le ha dato ragione); il “caso” poi è finito alla Commissione Tributaria Regionale che ha rinviato la soluzione della pendenza alla giustizia ordinaria, cioè al Tribunale.
Nel frattempo, però, la burocrazia non è stata con le mani in mano e – forte della norma capestro che recita “solve et repete”, cioè prima paga e poi fai ricorso – fa partire la cartella esattoriale sopra indicata nella quale è specificato che se entro pochi giorni il pagamento non verrà assolto, il Comune provvederà al fermo delle due auto della madre di Ivan, una delle quali attrezzata specificatamente per il trasporto del giovane disabile.
A questo punto arriva l’eroe che salva la situazione: è il signor Sindaco che – pur con tutto il potere che detiene – può solo “sospendere” la cartella esattoriale fino alla decisione del Tribunale prevista per settembre; e incrociamo le dita per scaramanzia, perché se la magistratura darà torto alla madre di Ivan, non c’è niente da fare e la signora dovrà pagare tutti gli arretrati con gli interesse e le spese processuali.
C’è una morale a valle di questa vicenda? Se la vogliamo trovare, la possiamo cercare nell’esatto significato del termine “burocrazia”, così come ce lo fornisce il fedele Dizionario di Devoto-Oli: “il dominio o l’eccessivo potere della pubblica amministrazione, con la pedanteria delle consuetudini, delle forme, delle gerarchie”.
Il che tradotto in parole ancora più semplici, sta ad indicare una sorta di macchina tritatutto che non impiega mai il cervello: ecco, questa è una delle sacche di potere che esistono in Italia e che nessun governo è mai riuscito ad intaccare; vediamo se ci prova – non dico che ci riesca – quest’ultimo esecutivo che ci ritroviamo, perché rifarsela con i taxisti o con i farmacisti è facile, provate con i burocrati!!
Per sostenere questo assunto, voglio raccontarvi un ultimo episodio che ho riscontrato sui quotidiani e che si è svolto – sarebbe meglio dire che si sta svolgendo – in un paese in Provincia di Arezzo: la storia ha inizio nel 1970 ed ha per protagonista un bambino di tre mesi che chiameremo Ivan; il bimbo cresce sanissimo, finché non giunge la data fatidica di compiere la vaccinazione antipolio: quelle poche gocce che venivano somministrate per preservarlo da una terribile malattia, in effetti lo condannano alla disabilità perenne, con una diagnosi che in termini scientifici recita encefalopatia epilettogena e, in termini concreti, spasmi e convulsioni.
In sostanza la vita del piccolo e dell’intera famiglia cambia radicalmente; solo dopo trent’anni (e siamo nel 2000) lo Stato riconosce il nesso di causalità tra vaccino e malattia e due anni dopo – siamo nel 2002 – stabilisce un rimborso di 70.644 euro (poco più di quanto incassa un alto burocrate per un mese di “lavoro”) e un indennizzo, direi una sorta di “pensione” di 620 euro mensili (non viene specificato se c’è il mese doppio per Natale).
Ed ecco che arriva il “forte con i deboli”: alla disgraziata madre che vive con quelle miserie che lo stato gli “passa”, giunge una cartella esattoriale di 2.831,65 euro per cumulo di arretrati per il trasporto di Ivan al Centro Diurno gestito da una Comunità Montana dove il giovane viene accompagnato giornalmente da un’auto della cooperativa e riaccompagnato a casa alla sera; alle famiglie dei pazienti viene chiesto una compartecipazione alla spesa di 50 euro mensili (quindi direi quasi “simbolica”) che la madre di Ivan si rifiuta di pagare e si rivolge in un primo tempo alla Commissione Tributaria Provinciale (che le ha dato ragione); il “caso” poi è finito alla Commissione Tributaria Regionale che ha rinviato la soluzione della pendenza alla giustizia ordinaria, cioè al Tribunale.
Nel frattempo, però, la burocrazia non è stata con le mani in mano e – forte della norma capestro che recita “solve et repete”, cioè prima paga e poi fai ricorso – fa partire la cartella esattoriale sopra indicata nella quale è specificato che se entro pochi giorni il pagamento non verrà assolto, il Comune provvederà al fermo delle due auto della madre di Ivan, una delle quali attrezzata specificatamente per il trasporto del giovane disabile.
A questo punto arriva l’eroe che salva la situazione: è il signor Sindaco che – pur con tutto il potere che detiene – può solo “sospendere” la cartella esattoriale fino alla decisione del Tribunale prevista per settembre; e incrociamo le dita per scaramanzia, perché se la magistratura darà torto alla madre di Ivan, non c’è niente da fare e la signora dovrà pagare tutti gli arretrati con gli interesse e le spese processuali.
C’è una morale a valle di questa vicenda? Se la vogliamo trovare, la possiamo cercare nell’esatto significato del termine “burocrazia”, così come ce lo fornisce il fedele Dizionario di Devoto-Oli: “il dominio o l’eccessivo potere della pubblica amministrazione, con la pedanteria delle consuetudini, delle forme, delle gerarchie”.
Il che tradotto in parole ancora più semplici, sta ad indicare una sorta di macchina tritatutto che non impiega mai il cervello: ecco, questa è una delle sacche di potere che esistono in Italia e che nessun governo è mai riuscito ad intaccare; vediamo se ci prova – non dico che ci riesca – quest’ultimo esecutivo che ci ritroviamo, perché rifarsela con i taxisti o con i farmacisti è facile, provate con i burocrati!!