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venerdì, luglio 14, 2006

DUE COSETTE SUL MONDIALE 

Dopo la vittoria della nostra Nazionale al mondiale di Germania, un paio di cosette ancora da chiarire esistono; forse non è esatto dire che “sono da chiarire”, sono soltanto rimaste in gola a chi cerca di predicare la verità – come sono io – e che invece s’è ritrovato a dover subire “la verità dei mass-media”; le due cosette sono la vicenda della capocciata di Zidane a Materazzi e l’addio di Lippi alla carica di C.T.
Per la prima (Zidane/Materazzi), debbo ripetere quanto ho avuto modo di dire qualche giorno or sono e cioè: come mai nessun quotidiano sportivo – e dire che in Italia ce ne sono ben quattro – si è premurato di tradurre il labiale del nostro giocatore? Questo atteggiamento mi interessa addirittura più della conoscenza di quanto Materazzi ha detto a Zidane, perché è in nettissima antitesi con quanto viene fatto settimanalmente nel corso del normale Campionato ed allora c’è da chiedersene il motivo.
Comunque, qualcuno che ha tradotto il labiale c’è ed è una televisione brasiliana che poi lo ha passato ad alcuni quotidiani nostrani – non sportivi – ed io, qualora vi fosse sfuggito, ve lo propongo: dopo un’azione concitata sotto la nostra porta, nella quale il nostro giocatore ha abbracciato strettamente il francese, quest’ultimo sbotta con una frase ironica (colma di sfottò) “Cosa c’è, vuoi la maglia? Se la vuoi te la do a fine partita”; replica di Materazzi, mentre entrambi i giocatori sono rivolti verso il centro campo: ”No, ti ho strizzato il capezzolo..” e poi continua “perché, non ti piace?” al che Zidane si volta verso Materazzi e replica: “Non da uno come te” e torna a girarsi verso il centrocampo. E il nostro difensore continua “L’ho fatto come piace a tua sorella e a tua madre..” al che Zidane si volta e Materazzi continua” ..quella puttana terrorista”; Zidane a questo punto è completamente girato verso Materazzi e gli si rivolge con un “Prendi stronzo” accompagnato dalla capocciata che tutti abbiamo visto.
Cosa vuol dire questo racconto? Anzitutto che la gente ha sempre diritto ad avere la verità e poi che – proprio mentre la giustizia sportiva è chiamata a giudicare in base all’articolo 1 (lealtà sportiva) – in questo episodio abbiamo la dimostrazione di come nel gioco del calcio ci sia ben poca lealtà, caso mai furbizia, ma lealtà veramente poca.
Il secondo episodio è l’addio di Lippi; qui dobbiamo fare un passo indietro e riandare con la memoria ai tempi del ritiro a Coverciano prima della partenza per Duisburg, sede della comitiva azzurra in Germania. A quei tempi, quasi tutti (potrei togliere il quasi) i giornali sportivi sputacchiavano sulla figura di Lippi per i rapporti del figlio con la Gea e per alcune telefonate con Moggi e Mazzini; si arrivò a coniare la frase “turiamoci il naso e andiamo avanti con Lippi”, perché non venne trovato un sostituto idoneo; una maglietta che in quel periodo andava a ruba tra i giovanissimi era di colore azzurro e portava una scritta che diceva “Lippi non è il mio allenatore”.
Fu questo il momento nel quale Lippi decise di andarsene e – con il senso di responsabilità che lo contraddistingue – non piantò la barca in mezzo ai marosi ma decise che al termine dell’avventura tedesca, in qualunque modo fosse andata, egli se ne sarebbe andato, non rinnovando il contratto e della cosa mise al corrente il capo delegazione, Abete che – da buon italiano – non credette alla promessa.
Ed ora tutti a stracciarsi le vesti, tutti ad invocare Lippi, tutti a osannarlo come l’autentico trionfatore, mentre nemmeno un mese prima era uno da mandare sotto processo; chi ha vissuto tutta la vicenda nella sua interezza è stato il grande Gigi Riva che ha narrato della dolorosa situazione che Lippi ha dovuto affrontare e di come abbia fatto di tutto per non darla a vedere ai giocatori; ed ora, finita la festa, Lippi toglie il disturbo, mantiene la promessa e se ne torna nella sua Viareggio: ci fosse stato un giornalista che abbia fatto un minimo di autocritica! Per carità, la stampa non sbaglia mai, ormai conosciamo l’antifona e conosciamo la sicumera di coloro che recitano questo slogan.

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