sabato, aprile 15, 2006
LA SOLITA SCENEGGIATA DEL PETROLIO
E’ bastato che Ahmadinejad, presidente iraniano, annunciasse che il suo paese ormai poteva essere considerato a tutti gli effetti “una potenza nucleare” che in tutto il mondo si è scatenato tutta una serie di reazioni a catena che a noi potrebbero interessare anche poco se non avessero portato il petrolio ad un nuovo massimo che gli ha fatto superare i 70 dollari al barile.
La “guerra” del nucleare iraniano si gioca su due fronti: da una parte l’AIEA (l’Agenzia Internazionale per il controllo dell’Energia Atomica) ha inviato il suo direttore – il premio Nobel El Baradei – a Teheran per vedere quale è l’esatta situazione dei siti incriminati; la risposta del regime iraniano è stata netta e decisa e El Baradei non è stato neppure ricevuto dai vertici politici ma soltanto dai tecnici che stanno mettendo in piedi la struttura per l’arricchimento dell’uranio.
L’altro fronte su cui si gioca la vicenda iraniana è il Consiglio di Sicurezza dell’O.N.U. che il 28 aprile dovrebbe discutere circa le sanzioni da applicare nei confronti del paese mediorientale: le sei nazioni “di diritto” con l’aggiunta della Germania, stentano a trovare un’intesa su quale decisione proporre all’Assemblea, dato che Cina e Russia sono contrarie alle sanzioni e favorevoli a continuare una trattativa che non si vede come e con chi si debba svolgere, visto che gli iraniani hanno rifiutato anche quella degli amici russi e cinesi. Probabilmente i due paesi cercano di procurarsi delle situazioni di vantaggio per discutere con l’Iran del futuro assetto nucleare, operazione che comporterà una spesa mostruosa che il paese mediorientale pagherebbe in “petrolio” e ben sappiamo quanto bisogno abbia la Cina dell’oro nero.
A latere di tutto questo ci sono le prove di “guerra” – anche con l’uso di atomiche tattiche – che l’America sta mettendo in campo, alle quali fa da contraltare la propaganda iraniana sulla “necessità” di distruggere Israele e sul misconoscimento dell’olocausto.
E l’Europa? Un silenzio assordante si ode a Bruxelles sul problema iraniano, visto che diversi e a volte addirittura contrastanti sono gli interessi dei singoli paesi: non è un mistero che una parte della tecnologia nucleare iraniana è stata fornita dalla Francia e qualcosa anche dalla Germania.
In Italia poi – tra elezioni e insipienza governativa – sembra quasi che il problema non esista, ma è di oggi l’avvertenza del F.M.I. (Fondo Monetario Internazionale) che ha affermato come questo aumento del petrolio possa vanificare qualsiasi ripresa delle economie internazionali e potrebbe addirittura portare il mondo occidentale verso una recessione come avvenne negli anni ’70 per effetto della famosa e ormai celebre crisi petrolifera.
Ovviamente, ogni volta che un qualche paese tenta di riportare l’Iran a più miti consigli, si ritrova Ahmadinejad che sbandiera esplicitamente il ricatto petrolifero, soprattutto verso quei paesi occidentali che sa non poterne fare a meno, come purtroppo siamo noi.
E anche questa volta – speriamo nel nuovo governo – mi ripeterò: dobbiamo studiare una strategia che in un certo numero di anni (diciamo dieci, forse quindici) ci affranchi dalla totale dipendenza petrolifera per spostare almeno l’80% del nostro fabbisogno energetico verso altre fonti; mi sembra un discorso talmente logico e, infatti, non viene preso assolutamente in considerazione, forse perché non c’è nessun politico che si mette all’anima un piano destinato a realizzarsi a così tanti anni di distanza; in politica ogni intervento a lungo termine é considerato non fruttifero per gli interessi di bottega che invece sono tutti “a breve termine”.
La “guerra” del nucleare iraniano si gioca su due fronti: da una parte l’AIEA (l’Agenzia Internazionale per il controllo dell’Energia Atomica) ha inviato il suo direttore – il premio Nobel El Baradei – a Teheran per vedere quale è l’esatta situazione dei siti incriminati; la risposta del regime iraniano è stata netta e decisa e El Baradei non è stato neppure ricevuto dai vertici politici ma soltanto dai tecnici che stanno mettendo in piedi la struttura per l’arricchimento dell’uranio.
L’altro fronte su cui si gioca la vicenda iraniana è il Consiglio di Sicurezza dell’O.N.U. che il 28 aprile dovrebbe discutere circa le sanzioni da applicare nei confronti del paese mediorientale: le sei nazioni “di diritto” con l’aggiunta della Germania, stentano a trovare un’intesa su quale decisione proporre all’Assemblea, dato che Cina e Russia sono contrarie alle sanzioni e favorevoli a continuare una trattativa che non si vede come e con chi si debba svolgere, visto che gli iraniani hanno rifiutato anche quella degli amici russi e cinesi. Probabilmente i due paesi cercano di procurarsi delle situazioni di vantaggio per discutere con l’Iran del futuro assetto nucleare, operazione che comporterà una spesa mostruosa che il paese mediorientale pagherebbe in “petrolio” e ben sappiamo quanto bisogno abbia la Cina dell’oro nero.
A latere di tutto questo ci sono le prove di “guerra” – anche con l’uso di atomiche tattiche – che l’America sta mettendo in campo, alle quali fa da contraltare la propaganda iraniana sulla “necessità” di distruggere Israele e sul misconoscimento dell’olocausto.
E l’Europa? Un silenzio assordante si ode a Bruxelles sul problema iraniano, visto che diversi e a volte addirittura contrastanti sono gli interessi dei singoli paesi: non è un mistero che una parte della tecnologia nucleare iraniana è stata fornita dalla Francia e qualcosa anche dalla Germania.
In Italia poi – tra elezioni e insipienza governativa – sembra quasi che il problema non esista, ma è di oggi l’avvertenza del F.M.I. (Fondo Monetario Internazionale) che ha affermato come questo aumento del petrolio possa vanificare qualsiasi ripresa delle economie internazionali e potrebbe addirittura portare il mondo occidentale verso una recessione come avvenne negli anni ’70 per effetto della famosa e ormai celebre crisi petrolifera.
Ovviamente, ogni volta che un qualche paese tenta di riportare l’Iran a più miti consigli, si ritrova Ahmadinejad che sbandiera esplicitamente il ricatto petrolifero, soprattutto verso quei paesi occidentali che sa non poterne fare a meno, come purtroppo siamo noi.
E anche questa volta – speriamo nel nuovo governo – mi ripeterò: dobbiamo studiare una strategia che in un certo numero di anni (diciamo dieci, forse quindici) ci affranchi dalla totale dipendenza petrolifera per spostare almeno l’80% del nostro fabbisogno energetico verso altre fonti; mi sembra un discorso talmente logico e, infatti, non viene preso assolutamente in considerazione, forse perché non c’è nessun politico che si mette all’anima un piano destinato a realizzarsi a così tanti anni di distanza; in politica ogni intervento a lungo termine é considerato non fruttifero per gli interessi di bottega che invece sono tutti “a breve termine”.