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mercoledì, aprile 05, 2006

ANCORA TUMULTI IN FRANCIA 

La manifestazione di protesta contro l’entrata in vigore della legge che regola il Cpe (Contratto di primo impiego) ha avuto un grande successo: in varie città della Francia oltre tre milioni di studenti e operai sono scesi in piazza per mostrare i muscoli al governo ed alla Presidenza della Repubblica: “siamo più forti di voi; non ci sconfiggerete mai”; sembrano slogan rivoluzionari e invece nascono da manifestazioni che non hanno dato adito a problemi di sorta.
I problemi ci sono stati, ma di tutt’altro ordine e di tutt’altra origine, problemi che hanno portato a duecento arresti e a venti feriti, quasi tutti in modo lieve; stavamo parlando dei problemi che sono sorti a latere della manifestazione, ebbene questi sono stati causati dai celebri “casseurs”, giovani abitanti delle periferie parigine che hanno compiuto tutta una serie di atti di violenza indiscriminata, cioè ai danni sia della Polizia che dei dimostranti; il loro obiettivo – ormai è noto – è la violenza per la violenza e soprattutto l’attacco alle forze dell’ordine: anche questo è un problema, che per il momento non sembra affatto avviato a soluzione.
Ma torniamo alla manifestazione contro la legge per il Cpe: dopo questa prova di forza, il governo presieduto da de Villepin sta cercando in qualche modo di correre ai ripari, puntando su modifiche marginali alla normativa, mentre il sindacato e gli studenti puntano decisamente sul ritiro completo della legge e, solo dopo questo atto, su trattative per la riscrittura di una normativa che regolamenti il mercato del lavoro; certo che da queste manifestazioni viene fuori una totale idiosincrasia dei francesi al concetto di precariato (come dar loro torto!!), concetto che peraltro tutti gli economisti a libro paga del governo, indicano come indispensabile se non si vuole restare isolati in Europa.
A questa affermazione – che peraltro fa il paio con quanto si dice in Italia – sarebbe facile rispondere in modo tale da smontare subito il concetto: se questa forma di precariato deriva dalla globalizzazione e dall’ingresso di mano d’opera a basso prezzo, si potrebbe cominciare a superare queste problematiche che non sono state certamente volute dagli operai e dagli studenti (cioè dai futuri operai); si potrebbe anche aggiungere che nessuno ha chiesto a queste categorie cosa ne pensavano sul fatto della globalizzazione e dell’apertura, controllata più o meno, delle frontiere a mano d’opera a basso prezzo.
Uno dei principi fondanti dell’economia di mercato, postula che l’imprenditore cerca la mano d’opera dove essa è a più basso costo, ivi istallando la fabbrica, eventualmente con una parte di maestranze del paese originario.
Così si è fatto con le situazioni romene e bulgare, dove si sono aperti complessi industriali ad alta densità (Timisoara è un esempio classico): la mano d’opera locale costa circa un decimo di quella italiana e questo è l’indubbio appeal che ha tale situazione nei confronti dell’imprenditore.
Con le “quote” di immigrazione controllata, più o meno decise direttamente dalle Associazioni degli Industriali si è quadrato il cerchio: per quelle strutture più difficilmente “esportabili”, gli portiamo la stessa mano d’opera a buon mercato fino sulla porta della fabbrica.
Io la chiamo “schiavitù”, accostando queste situazioni a quelle che si sono viste nel ‘700 in America con la tratta degli schiavi per la raccolta del cotone; ma io sbaglio, sicuramente, perché invece l’industriale che abbassa continuamente i costi, senza abbassare il prezzo del prodotto è certamente più intelligente di me.
Se ci riflettiamo un momento, è l’uovo di Colombo: abbassare i costi e mantenere gli stessi prezzi a valore costante; il guadagno aumenta in modo esponenziale!!

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