martedì, febbraio 14, 2006
MANDIAMO TONINO IN PALESTINA
Restiamo ancora nel campo della magistratura, se non altro per quel nome – Tonino – accanto al quale ci mettiamo, come cognome, il mitico “Di Pietro”: perché suggerisco di mandarlo in Palestina?
Lungi da me l’idea di un esilio forzato, ma piuttosto il desiderio di vedere risolto un problema che sta venendo a galla in quella terra benedetta da Dio e maledetta dagli uomini.
Ma andiamo con ordine: il Procuratore Generale dell’Autorità Nazionale Palestinese, Ahmed Al Mogani, ha rivelato che sono stati accertati almeno “50 casi di corruzione finanziaria e amministrativa” e che al momento si è aperta una voragine, nei conti dell’A.N.P., di ben 700 milioni di dollari.
Venticinque persone sono state arrestate e dieci sono fuggite all’estero: si tratta in massima parte di uomini legati ad Al Fatah, il partito fondato da Arafat e passato in eredità all’attuale Presidente, Abu Mazen, partito che ha tenuto il potere fino alle elezioni del 25 gennaio scorso, quando gli islamici “duri e puri” di Hamas hanno raccolto la maggioranza assoluta dei consensi dei cittadini.
Ricorderete che già in occasione del commento alla svolta elettorale in Palestina, ebbi a ricordare che la scelta della gente – adesso che per la prima volta poteva dire liberamente la sua – era quella di andare contro la banda dei ladroni, quella massa di funzionari vicini ad Arafat, corrotti e corruttori, che si sono intascati tutti i denari (e sono tanti) che il mondo intero invia all’A.N.P. con lo scopo di vedere realizzato questo tanto auspicato stato di Palestina.
Tutto il mondo è paese, dice una massima nostrale ed è per questa ragione che sarebbe da invocare la presenza di Tonino a coordinare queste indagini: pensate che il Procuratore Generale ha, tra l’altro, accertato un ammanco di 4 milioni di dollari riveniente da false fatturazioni emesse per lavori esistenti solo sulla carta: tutta roba che Di Pietro riconoscerebbe a un miglio di distanza.
E mentre i palestinesi languivano nei campi profughi, i gran capi dell’O.L.P. – difensori della causa palestinese – accumulavano denaro e mandavano i figli a studiare all’estero.
Già quando morì Arafat si mormorò di conti milionari gestiti all’estero dalla moglie Suha; le voci non andarono oltre il chiacchiericcio perché non esistevano prove, non c’erano documenti, in pratica il tutto era nella testa e nelle capaci tasche della bionda moglie del premier che, poco dopo la morte del marito, tolse le tende e tornò precipitosamente a Parigi dove abitava da tempo insieme con i figli.
Immagino che tutti voi saprete che i “benefattori” della Palestina sono – in ordine di importanza – gli U.S.A.e la U.E., mentre niente arriva dai paesi arabi; solo adesso, alle titubanze americane ed europee circa il continuare questi finanziamenti che potrebbero diventare un arricchimento del terrorismo (Hamas non ha ancora dichiarato di abbandonare questa pratica), i più estremisti – Iran e Siria – si sono dichiarati disposti a subentrare nel finanziamento dell’A.N.P.
Intanto Israele ha sbloccato 35 milioni di euro che rappresentano le tasse incassate per conto dei palestinese e che erano state congelate subito dopo la vittoria di Hamas; il gesto di Olmert è stato molto apprezzato in tutte le capitali occidentali in quanto indicativo di una precisa volontà di continuare le trattative anche con il nuovo governo.
Speriamo che, individuati i ladroni, le trattative possano riprendere con spirito aperto e sulla base dell’unico documento attualmente sul tappeto: la “road map”.
Lungi da me l’idea di un esilio forzato, ma piuttosto il desiderio di vedere risolto un problema che sta venendo a galla in quella terra benedetta da Dio e maledetta dagli uomini.
Ma andiamo con ordine: il Procuratore Generale dell’Autorità Nazionale Palestinese, Ahmed Al Mogani, ha rivelato che sono stati accertati almeno “50 casi di corruzione finanziaria e amministrativa” e che al momento si è aperta una voragine, nei conti dell’A.N.P., di ben 700 milioni di dollari.
Venticinque persone sono state arrestate e dieci sono fuggite all’estero: si tratta in massima parte di uomini legati ad Al Fatah, il partito fondato da Arafat e passato in eredità all’attuale Presidente, Abu Mazen, partito che ha tenuto il potere fino alle elezioni del 25 gennaio scorso, quando gli islamici “duri e puri” di Hamas hanno raccolto la maggioranza assoluta dei consensi dei cittadini.
Ricorderete che già in occasione del commento alla svolta elettorale in Palestina, ebbi a ricordare che la scelta della gente – adesso che per la prima volta poteva dire liberamente la sua – era quella di andare contro la banda dei ladroni, quella massa di funzionari vicini ad Arafat, corrotti e corruttori, che si sono intascati tutti i denari (e sono tanti) che il mondo intero invia all’A.N.P. con lo scopo di vedere realizzato questo tanto auspicato stato di Palestina.
Tutto il mondo è paese, dice una massima nostrale ed è per questa ragione che sarebbe da invocare la presenza di Tonino a coordinare queste indagini: pensate che il Procuratore Generale ha, tra l’altro, accertato un ammanco di 4 milioni di dollari riveniente da false fatturazioni emesse per lavori esistenti solo sulla carta: tutta roba che Di Pietro riconoscerebbe a un miglio di distanza.
E mentre i palestinesi languivano nei campi profughi, i gran capi dell’O.L.P. – difensori della causa palestinese – accumulavano denaro e mandavano i figli a studiare all’estero.
Già quando morì Arafat si mormorò di conti milionari gestiti all’estero dalla moglie Suha; le voci non andarono oltre il chiacchiericcio perché non esistevano prove, non c’erano documenti, in pratica il tutto era nella testa e nelle capaci tasche della bionda moglie del premier che, poco dopo la morte del marito, tolse le tende e tornò precipitosamente a Parigi dove abitava da tempo insieme con i figli.
Immagino che tutti voi saprete che i “benefattori” della Palestina sono – in ordine di importanza – gli U.S.A.e la U.E., mentre niente arriva dai paesi arabi; solo adesso, alle titubanze americane ed europee circa il continuare questi finanziamenti che potrebbero diventare un arricchimento del terrorismo (Hamas non ha ancora dichiarato di abbandonare questa pratica), i più estremisti – Iran e Siria – si sono dichiarati disposti a subentrare nel finanziamento dell’A.N.P.
Intanto Israele ha sbloccato 35 milioni di euro che rappresentano le tasse incassate per conto dei palestinese e che erano state congelate subito dopo la vittoria di Hamas; il gesto di Olmert è stato molto apprezzato in tutte le capitali occidentali in quanto indicativo di una precisa volontà di continuare le trattative anche con il nuovo governo.
Speriamo che, individuati i ladroni, le trattative possano riprendere con spirito aperto e sulla base dell’unico documento attualmente sul tappeto: la “road map”.