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venerdì, febbraio 17, 2006

LA SENTENZA SUL CROCIFISSO 

Anzitutto, ribadisco ancora una volta che mi auguro di ricevere i complimenti dei miei lettori per quello di cui… non mi occupo; e qui alludo allo starnazzare dei nostri due pollastri (Berlusconi e Prodi) che si agitano e scalpitano in vista delle prossime elezioni (c’è ancora un mese e mezzo!); però, per uno come me che si occupa di come i mass media occupano i loro spazi, togliere la politica nostrale è difficile, molto difficile, ma ci riusciremo!
Ed ecco che oggi ci dedichiamo ad un altro evento che occupa le prime pagine dei giornali e dei TG: alludo alla sentenza del Consiglio di Stato che respinge il ricorso di una cittadina finlandese per la rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche.
In pratica ha ribadito la sentenza del TAR, con in più una motivazione molto ampia (19 pagine) che – sunteggiato in soldoni – afferma quanto segue: il crocifisso in Italia è un simbolo idoneo ad esprimere in modo adeguato l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti.
Notare subito che, secondo la sentenza, tutti questi valori che animano la civiltà italica, discendono dalla pratica della religione cristiana e quindi il simboleggiare tale religione con il crocifisso e nient’altro che un doveroso omaggio alla stessa.
Il Consiglio di Stato precisa anche un altro specifico concetto: se il crocifisso è in un luogo di culto esso è propriamente ed esclusivamente un simbolo religioso, mentre se esposto in un luogo non religioso come la scuola, destinata all’educazione dei giovani, il crocifisso rivestirà – per i credenti – i suddetti valori religiosi mentre per i credenti e non credenti la sua esposizione assumerà un valore non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma immediatamente percepibile e intuibile valori civilmente rilevanti.
Al di là dei commenti della simpatica astrofisica Margherita Hack che continua ad affermare che “l’Italia è uno stato laico e quindi nei luoghi pubblici non ci dovrebbero essere simboli religiosi di nessun tipo”, non si registrano al momento prese di posizione contrarie alla sentenza, anche perché la stessa riporta la questione sul piano dei valori civili e non su quelli esclusivamente religiosi come sembra non essersi accorta la Hack.
In questo stesso giorno, ed a proposito di prese di posizione religiose, si è avuto a Mosca un altro capitolo assai interessante; la capitale russa, sulla scia di altre città europee, vuol fare il prossimo 27 maggio il suo “Gay pride”.
La cosa però non va liscia come in tutta Europa, dove si assiste a qualche mugugno delle autorità religiose ma niente più; a nessuna religione presente nelle capitali europee verrebbe in mente di lanciare una sorta di anatema per questa che ormai sembra diventata una specie di sfilata di carri allegorici.
Dicevamo di Mosca; in questa capitale europea le cose sembrano andare diversamente, in quanto il “Gran Muftì”, leader religioso della comunità di 14 milioni di musulmani russi, si è così rivolto ai suoi adepti: “Il gay pride non va permesso: se osano farlo, dobbiamo prenderli a botte. Maometto aveva ordinato di ucciderli tutti”; credo che quest’ultima minaccia sia rivolta agli omosessuali.
Trucida fin che si vuole, ma l’affermazione del Gran Muftì ha il pregio di essere chiarissima; il resto delle valutazioni fanno parte di una triste banalità che purtroppo ben conosciamo e che fa rima con civiltà.

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