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martedì, gennaio 17, 2006

SANITA' 

Il titolo esatto dovrebbe essere “malasanità”, ma questa parola non l’ho voluta usare perché presupporrebbe anche una “benesanità” e invece questa non c’è: sia chiaro, non voglio alludere all’operato di medici e infermieri che non sempre hanno colpe specifiche su quanto accade, ma mi riferisco invece ad un modo di organizzare la salute pubblica che, da quando è passata interamente nelle mani di politici di mestiere, fa acqua da tutte le parti.

In questi ultimi giorni i casi eclatanti sono stati tanti, direi “troppi”, perché non si raggiungesse le prime pagine dei quotidiani; vediamone alcuni: si è cominciato all’Ospedale di Piacenza dove un malato (80 anni) viene trasferito dal reparto di chirurgia all’intensivo di cardiologia; il degente, su una barella, accompagnato da tre infermieri e un rianimatore, viene messo nell’ascensore per salire (o scendere non so) alcuni piani e raggiungere l’unità di destinazione; improvvisamente l’ascensore si ferma, viene chiamato il pronto intervento della ditta che ne cura la manutenzione ma senza esito; si chiamano così i vigili del fuoco i quali hanno impiegato circa un’ora per liberare i cinque intrappolati (nel frattempo era stato aperto un varco e immesso ossigeno per il paziente).

Una volta riusciti ad aprire le porte, il malato è spirato addirittura ancora prima di raggiungere il reparto di rianimazione: sarebbe morto anche senza l’incidente all’ascensore? Chi può dirlo.

Il secondo caso ha avuto luogo a Canicattì ed ha visto protagonista un bimbo di poche ore, nato con una grave malformazione cardiaca e bisognoso di un ricovero immediato in una unità neonatale specializzata; i medici hanno interessato l’ospedale di Agrigento, ma ricevendo la risposta che lì non c’era posto; si è pensato allora di portare il bambino all’ospedale di Palermo, ma – a causa della lontananza – si è provveduto a chiedere l’elicottero che si trovava a Messina e che, causa il maltempo, ha impiegato alcune ore per raggiungere Canicattì; appena arrivato il mezzo, il neonato è stato caricato a bordo con la sua cullina, ma non ce l’ha fatta ad arrivare a Palermo.

Anche qui ci chiediamo: è stato fatto tutto il possibile? Perché, vista l’urgenza, non si è scelto Enna invece di Palermo? E poi la domanda conclusiva: era destino oppure no?

La stessa domanda che ci facciamo per un altro bimbo deceduto in modo sospetto all’ospedale di Messina poche ore dopo il primo, assegnando così alla Sicilia il triste primato.

Risaliamo al Nord e precisamente a Bergamo, per la morte di una donna di 33 anni che, dopo due gravidanze interrotte, si è sottoposta ad una laparoscopia esplorativa che, apparentemente, era perfettamente riuscita; dopo qualche giorno la donna ha avuto un malore ed è stata sottoposta ad una nuova operazione che ha evidenziato una perforazione dello stomaco: la morte è sopraggiunta dopo poco per una crisi settica e per una insufficienza renale acuta. Anche in questo caso dobbiamo chiederci se era destino (o come si vuole chiamare) oppure c’è qualcos’altro.

Chiudiamo con un po’ di spirito, narrando quanto accaduto in Inghilterra dove un detenuto (lo chiameremo John), nel 2001 ottenne di cambiare sesso e diventare donna (Jane), il tutto a spese del servizio sanitario nazionale: costo dell’intervento, oltre 22.500 euro e trasferimento in un carcere femminile. Adesso, dopo cinque anni vissuti da donna, un nuovo cambio: desidera ritornare ad essere uomo (cioè John): la risposta è stata che si può fare, ma la sanità britannica non è disposta a pagare un nuovo intervento: la pazienza degli inglesi sembra davvero finita!


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