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venerdì, gennaio 06, 2006

QUANTO CI COSTA LA LIBERTA' D'INFORMAZIONE? 

Finalmente si arriva a conoscere alcune cifre che tutti noi contribuenti spendiamo per tenere in piedi una serie di testate giornalistiche che altrimenti sarebbero destinate a chiudere.

Voi ricorderete quante volte ho invocato che i giornalisti cominciassero a spulciare nelle pieghe dei bilanci di strutture che sono alla greppia del pubblico potere; ebbene, sembrerebbe che siamo arrivati in porto, ma non per merito dei giornalisti, bensì per un lungo comunicato della Presidenza del Consiglio, Divisione Editoria: in esso vengono portati alla luce i dati relativi ai contributi per l’anno 2003, a giornali di partito o comunque legati a movimenti di opinione o personaggi politici (bastano due parlamentari per poter essere inseriti in questa graduatoria).

Sfogliando queste cifre si hanno delle situazioni interessanti e, soprattutto, assai sorprendenti: tra gli organi di partito, L’UNITÀ ovviamente fa la parte del leone con 7 milioni di euro (13 miliardi del vecchio conio) seguita a debita distanza da LA PADANIA con qualcosa più di 4 milioni di euro (7 miliardi e mezzo) e da LIBERAZIONE, organo di Rifondazione Comunista che si porta a casa 3.7 milioni pari a oltre 7 miliardi di lire e da EUROPA, organo de La Margherita, con 3.200 milioni di euro (oltre 6 miliardi di lire).

Tra i quotidiani non strettamente rappresentativi di un partito ma evidentemente considerati agganciati a qualcosa di politico, in testa troviamo LIBERO con quasi 5.500 milioni, oltre 10 miliardi, seguito da IL FOGLIO con 3.500 milioni (quasi 7 miliardi), IL ROMA con oltre 2.500 milioni (cinque miliardi), IL BORGHESE, anch’esso attestato sui 2.500 milioni e IL NUOVO RIFORMISTA con oltre 2 milioni di euro, pari a quasi 4 miliardi di lire.

Spero di non avervi annoiato più del dovuto con questa nuda elencazione di cifre, ma mi sembrava importante rilevare le posizioni in questa ideale classifica di chi prende di più; ci sono però alcune realtà che mi appaiono inquietanti in quanto non riesco a comprenderle: per esempio, c’è qualcuno che conosce un giornale dal titolo IL DENARO, stampato da una certa Edizioni del Mediterraneo, che si porta a casa quasi 2.300 milioni di euro, una cifretta pari a 4 miliardi e mezzo di lire; oppure LA CRONACA, edito da Nuova Informazione che, scusate se è poco, intasca quasi 1.900 milioni di euro, all’incirca 3 miliardi e 700 milioni di lire.

Concludo con le cifre, segnalando che lo Stato (cioè noi) ha speso per i giornali direttamente legati ai partiti la ragguardevole cifra di 28 mila euro (oltre cinquanta miliardi) e per quelli legati indirettamente o comunque editi da cooperative, già organi di movimenti politici, la somma di oltre 31 mila euro, pari a oltre 60 miliardi.

Alla fine dei salmi, si può tranquillamente affermare che ci possiamo permettere di buttare, forse il verbo è un po’ forte, ma dopo dirò perché l’ho usato, qualcosa che supera i 110 miliardi, nel 2003; chissà a quanto siamo arrivati adesso, con l’inflazione che, quando li riguarda è senz’altro altissima e quando devono rispondere alla gente è “sotto controllo”; sono pronto a giurare che nel 2005 si sono raggiunti tranquillamente i 150 miliardi.

Ed ecco perché uso il termine “buttare”: queste somme sono ciò che si chiama il costo della democrazia, e fin qui è tutto molto chiaro, se non fosse che c’è qualcuno che invece della democrazia realizza il costo della barca, della villa, della macchina fuori serie, e via di questo passo.

Perché dico questo? Perché queste sovvenzioni nascondono sempre qualcosa sotto e cioè l’uso del denaro pubblico per mettere in commercio uno strumento sicuramente democratico ma che ha anche un prezzo e dal quale si ricavano dei denari: che rapporto c’è tra l’incassato e il sovvenzionato? Questo sarebbe un dato molto interessante, ma si dovrebbe attingere direttamente dai bilanci societari degli editori e forse a quelle cifre non so se ce li fanno arrivare.

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