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martedì, novembre 15, 2005

E adesso parliamo di cultura 

Una quindicina di giorni fa (esattamente il 7 novembre) ho messo on-line un post nel quale cercavo di ragionare su come è diventata la gente da vent’anni a questa parte (e concludevo pessimisticamente); in quel primo post focalizzavo la mia attenzione sul rapporto con i mezzi di comunicazione di massa, riservandomi di affrontare il problema della cultura in un prossimo intervento; ed è quello che sto facendo.
Anzitutto diamo la definizione di cultura e per questo ci facciamo assistere dal solito Devoto-Oli che alla voce relative la definisce così: “sintesi armonica delle cognizioni di una persona con la sua sensibilità e le sue esperienze”; veramente una bella e calzante definizione.
Forse non è corretto, ma voglio proprio partire da quel concetto di “cognizioni” di cui si parla: evidentemente queste si acquisiscono in massima parte nello studio – scolare e personale – e quindi è interessantissimo notare quanto ha rilevato una recente indagine dell’UNLA (Unione nazionale lotta all’analfabetismo) condotta sulla base degli ultimi dati Istat.
Da questa ricerca risulta che – fatta uguale a 100 la base – 7,5 individui sono laureati, quasi 26 hanno un diploma di scuola media superiore, 30 sono in possesso della sola licenza media e 36,5 non hanno nessun titolo o sono addirittura analfabeti ufficiali (il numero di questi ultimi assomma a 6 milioni, 12%); fra i trenta Paesi più istruiti l’Italia occupa il terzultimo posto, prima soltanto di Portogallo e Messico.
Con questo spaccato è molto arduo parlare di cultura, ma questo è il compito e quindi andiamo avanti; noi che siamo stati la patria di tanti uomini eccezionali che tutto il mondo ci invidia – cito solo Dante e Leonardo – abbiamo adesso una certa carenza di cervelloni; per quanto riguarda il nostro “trastullo” preferito, dobbiamo rilevare che le trasmissioni a sfondo scientifico/culturale come quelle di Angela, hanno un ottimo ascolto, a dimostrazione che c’è interesse: che vorrà dire?.
Per quanto riguarda la letteratura si assiste a fenomeni incomprensibili per cui i “best-sellers” da qualche tempo si chiamano “Il Codice Da Vinci” e, accanto il quasi porno “100 colpi di spazzola…” di Melissa P, facendo così registrare uno schizofrenico andamento sulle mode del momento.
Nel cinema abbiamo forse le cose peggiori: fermo restando che non ci sono più i maestri di una volta – Fellini, Bergman, Pasolini, Visconti, ecc. – i gusti del pubblico si vanno orientando verso una visione dettata da un sostanziale disimpegno, per la serie “vado a passare un paio d’ore e a rilassarmi”; se controlliamo la “dozzina d’oro” indice di frequenza nei cinema italiani, accanto al fenomeno Benigni (che è già in grosso calo) imposto da una distribuzione mostruosa (sembra che sia uscito in oltre 600 copie), abbiamo il vuoto, anche se adesso l’ultimo film di Pupi Avati sembra scalare un po’ la classifica.
Voglio concludere raccontandovi un fatterello: la settimana scorsa un gruppetto di amici mi ha invitato a proiettare in casa di uno di loro un film di Bergman e a fare la successiva “lettura”; ho portato una cassetta con “Il Volto”, un film del 1956 e la serata è andata benissimo, in particolare la spaghettata che è seguita al momento culturale.
Tutti hanno detto che il film – bianco e nero, piuttosto scuro come tono, pochissimo parlato – è indubbiamente difficile da comprendere, ma dopo la mia “spiegazione” tutto è stato chiaro e hanno apprezzato la pellicola del grande maestro svedese.
Ho ribattuto con una semplice affermazione: se proiettiamo questo film in un cinema pubblico, i pochi spettatori inferociti, spaccano le sedie, picchiano il proiezionista e sodomizzano la cassiera: siete d’accordo?

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