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mercoledì, novembre 23, 2005

Corsi e ricorsi storici 

La notizia è di quelle da trafiletto nelle pagine centrali, ma se appena, appena si sviscera un pochino e si lega con quanto già accaduto, ne viene fuori un articolo gustosissimo, specie per quei barbogi di politici abituati a “sembrare” sempre seriosi.
Allora, veniamo all’evento: il sindaco di un oscuro paesetto (Marano), certo Mauro Bertini appartenente al PDCI (Partito dei Comunisti Italiani) ha intestato una via del proprio paese ad Arafat, rifiutandosi di dedicarla ai ”caduti di Nassirya”; questa la motivazione del primo cittadino: “Non sono martiri, ma semplici caduti in un incidente sul lavoro”.
Detto tra noi – tanto non ci sente nessuno – il sindaco non ha tutti i torti, poiché i militari caduti a Nassirya sono tutti volontari, strapagati, che tra loro si litigano il posto per andare in missione all’estero; quindi, diamo al sindaco quel che è del sindaco, riconoscendogli una parte di giustezza nelle sue affermazioni, pero…via non si dice, specialmente da parte di una istituzione pubblica.
Ma l’amico Bertini – nel contesto della polemica – ha avuto un’altra sfortuna; sentite bene questa e ditemi se non ho ragione: siamo nel 1912, a Reggio Emilia, e precisamente al congresso del Partito Socialista Italiano, dove un oscuro delegato, Benito Mussolini, chiedeva l’espulsione dal partito del deputato Leonida Bissolati, reo di avere appoggiato la guerra di Libia; il partito si schierò con il più famoso Bissolati e la richiesta di Mussolini non andò avanti.
Nello stesso anno, ci fu l’attentato al re da parte di Antonio D’Alba che sparò contro la sua carrozza ma senza ferire l’augusto passeggero.
Al successivo Congresso del partito, Mussolini tornò a tuonare contro Bissolati, colpevole questa volta di essere andato al Quirinale per felicitarsi col sovrano per lo scampato pericolo.
Indovinate un po’ quali parole usò Mussolini: “L’attentato è solo un infortunio nel mestiere di re, cittadino inutile per definizione; non siete mai andati a congratularvi con un muratore scampato da una caduta da un’impalcatura non capisco perché vi siete mossi adesso”.
Insisti, insisti, Mussolini riuscì finalmente a cacciare Bissolati dal partito ed a prenderne il posto alla direzione dell’Avanti, ricevendo anche un plauso da Lenin sulla Prava per avere sconfitto i riformisti.
Come vedete l’accostamento c’è e si vede benissimo; come poi la storia si sia comportata con i personaggi del passato lo sappiamo benissimo: Mussolini sconfitto, Lenin idem, Bissolati vincitore.
Il problema però, a mio modo di vedere, è un altro: in questi tempi perigliosi, insistere troppo sulla demagogica virtù guerriera e sul sacrificio dei nostri soldati non mi appare una mossa azzeccata.
Adesso i tempi impongono altre filosofie altre visioni del mondo: i kamikaze terroristi per i loro mandanti sono degli eroi, mentre noi non riusciamo neppure a capacitarsi di quello che pensano prima del gesto.
Per i caduti di Nassirya, se qualcuno avesse la bontà di rivolgersi ai parenti – genitori e mogli – si sentirebbe dare delle risposte che niente hanno a che spartire con le frasi eroiche pronunciate dalle nostre Autorità – il Ciampi in testa – ma tutte convergono in un’unica direttrice: mio figlio/mio marito non c’è più, non capisco il motivo per il quale non c’è più e non ci sono medaglie di un qualunque metallo – nobile o meno nobile – che me lo possano ridare.
Sono frasi semplici, di persone semplici, ma che attribuiscono grande importanza ad uno dei valori principali: la vita umana; è con questo valore che credo si possa migliorare questo nostro mondo.

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