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domenica, ottobre 16, 2005

Un'ardita teoria 

La teoria cui mi riferisco è quella che “i ricchi sono più infelici dei poveri” che si sente da qualche parte, a corollario della famosa battuta che la ricchezza non fa la felicità; bene, chiarito l’obiettivo, veniamo alla discussione della tesi: uno dei maggiori teorici del capitalismo,Ludwig von Mises, lancia questo postulato e lo fa diventare una delle caratteristiche principali del progresso: “Non è bene accontentarsi di ciò che si ha”.
Proviamo ora a ragionare su questo: se non possiamo accontentarsi di ciò che già abbiamo, dobbiamo inseguire ciò che non abbiamo, ma poiché “quello che non abbiamo” non ha limiti teoretici, colui che fa questa ricerca incappa, prima o poi, nella tipica frustrazione da inappagamento e cade in depressione.
Tale momento, ovviamente, per i ricchi arriva prima che per gli altri: se io ho già – “apparentemente” – tutto, ma non posso e anzi non devo accontentarmi, cosa mi resta da fare se non gettarmi dalla finestra oppure distruggermi con la droga?
Se io invece sono povero, ho ancora tante cose da conquistare prima di cadere in depressione, circostanza che potrà verificarsi soltanto al momento in cui avrò raggiunto la ricchezza; ma cosa vuol dire “ricchezza”, perché a questo termine non possiamo agganciare un significato preciso, dato che anche se sono ricco, ci sarà sempre uno più ricco di me; e quindi...
Questo discorso – scusate l’inciso – mi ricorda un film dei primi anni ’60 girato da Gregoretti e in particolare l’episodio in cui un giovane – interpretato da Mastroianni – arriva al suicidio perché non riesce ad identificare l’esatto limite estremo per il gonfiaggio di un palloncino: se non continua a soffiare rimane il dubbio che ci sia ancora posto; se continua a soffiare arriva a fare scoppiare il palloncino e quindi siamo daccapo a quindici.
Scusate l’inciso, ma credo che ci stia bene con il nostro discorso, e torniamo subito al nostro problema di base: alcuni pensatori moderni fanno risalire questa potenziale infelicità al proclama che “ogni individuo ha il diritto di ricercare la propria felicità”, contenuto nella Carta Costituzionale Americana,affermazione che ha generato l’attuale edonismo straccione ed un aprioristico diritto alla felicità che viene inculcato da ogni “cattivo maestro”; è ovvio che con siffatta prospettiva l’uomo contemporaneo ha dimenticato il sublime valore – anche pedagogico – della sofferenza e delle privazioni: so benissimo che se andiamo a fare un discorso del genere ai nostri giovani, riceviamo quanto meno una sequela di pernacchie, ma tant’é…..
Essi infatti non ci stanno a sentire poiché hanno già il loro obiettivo: se sono maschi, diventare come Totti o Del Piero (circa 10 miliardi del vecchio conio l’anno di ingaggio), se invece sono femmine, accaparrarsi un posto da “velina”, “letterina” o altro del genere e, infine, sposare un calciatore (pensate, una candidata a Miss Italia ha addirittura indicato tra i propri dati “fidanzata con un calciatore”).
Questi, amici carissimi, sono i desideri massimi che attualmente hanno i nostri giovani, ma non perché sono diversi da come eravamo noi alla loro età, ma soltanto perché questi sono gli stereotipi che la società attuale fornisce loro; quando si rileva in Auditel che la trasmissione su RAI 2 dal titolo “L’isola dei famosi”, sta polverizzando tutti i record di ascolto, dobbiamo chiederci chi sono quelle o quelli che si sorbiscono due ore di strilli della Ventura e di imbarazzanti interviste con questi ex-famosi e adesso sotto riciclaggio; e state certi, non sono dei marziani, non sono dei “diversi”, sono in tutto simili a me e a voi, tanto che li abbiamo accanto sulla metropolitano, in treno o in aereo e non li distinguiamo.
Quindi….

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