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lunedì, ottobre 17, 2005

Trionfo di Prodi alle "primarie" 

Con quasi l’80% dei voti, Romano Prodi è l’autentico trionfatore delle “primarie” che si sono tenute ieri in tutta Italia e che hanno fatto registrare un’affluenza alle urne di oltre due milioni e mezzo di elettori; alle sue spalle si è confermato Bertinotti con quasi il 16% seguito da Mastella con oltre il quattro per cento e da Di Pietro con oltre il 3%; gli altri con quote da “sotto lo sbarramento”.
Prima di addentrarci nel “dopo primarie”, cerchiamo di chiarire bene il loro significato: questo rituale è stato importato direttamente dagli Stati Uniti, dove è in vigore un maggioritario perfetto, e viene utilizzato prima delle elezioni presidenziali per indicare i candidati (democratico e repubblicano) che rappresenteranno i due partiti antagonisti alle vere elezioni; si svolgono in modo completamente diverso dal nostro, poiché la gente non vota direttamente per il candidato presidente, bensì per alcuni “grandi elettori”, personaggi cioè che alle due convention dei partiti eleggeranno a sua volta il candidato definitivo tra i cinque o sei che sono in gara per ciascun partito.
Noterete subito le grandi differenze con il nostro sistema che più che a delle primarie assomiglia ad una “congresso di partito” (raffigurato dall’intero centro sinistra) durante il quale viene eletto il segretario.
Ma un’altra differenza balza agli occhi: nel sistema americano vince uno solo e tutti gli altri “scompaiono” dalla scena politica (di loro non ci ricordiamo neppure il nome), e si vince anche con un solo voto di scarto e chi vince prende tutto mentre chi perde non prende niente ma si prepara a vincere la prossima volta: da noi tutto questo è improponibile, vista la miriade di partiti e partitini che ci sono e che rimangono nonostante i risultati a quote irrisorie
Ma torniamo alle nostre primarie e cerchiamo di esaminarne il dopo; Prodi ha subito affermato, giustamente, che, sulla scorta di questo risultato, si sente autorizzato a rilanciare l’Ulivo e a “fare il programma della coalizione”; Bertinotti – dal canto suo – con il discreto risultato conseguito, si ritiene facoltizzato a mettere subito un paletto,affermando che “il programma si scrive tutti insieme” e sottacendo che non rinuncia a immetterci quelle “spruzzatine di rosso autentico” che solo lui può indicare (patrimoniale, abolizione della Legge Biagi, tassazione delle rendite di Borsa ed altro ancora), Boselli e Rutelli hanno a loro volta controbattuto che “L’Ulivo non esiste più” e via di questo passo.
Molti studiosi della politica hanno già teorizzato che “bisogna saper vincere la vittoria”, affermazione che sta ad indicare che dopo una vittoria bisogna saperne mettere a frutto il suo significato; ecco, se c’è una logica in questi quasi tre milioni di persone che sono andate a votare e che hanno lasciato oboli per circa 40 milioni di euro, dobbiamo dire che questa è tutta gente che di Berlusconi non ne puole proprio più, è gente che lo considera una anomalia della nostra scena politica e che dichiara espressamente “se lo incontro fuori lo riempio di cazzotti fino ad ucciderlo”, affermazione che non è mai stata usata per nessun avversario politico: non l’ho mai udita dai D.C. contro Berlinguer o D’Alema, né dai comunisti verso Moro, Fanfani e compagnia bella.
Mi sembra che il cavaliere si sia guadagnato la disistima di gran parte del nostro elettorato: basta poco perché questo sentimento venga ribaltato, per esempio da qualche senso di commiserazione per delle accuse che sono palesemente infondate e che lo rendono “martire” agli occhi del popolo.
Come ho già detto varie volte, ripeto ancora una volta alle forze del centro sinistra: “lasciatelo in pace, non consideratelo, ha già imboccato la china verso la sconfitta, non siate voi ad offrirgli l’unico appiglio che può trovare lungo la discesa: il compatimento”.

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