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sabato, luglio 09, 2005

Il giorno dopo le bombe 

Il giorno dopo ancora non si conoscono i numeri esatti della catastrofe che si è abbattuta sui trasporti londinesi; questo per un duplice motivo, il primo è la situazione sotterranea che rende difficile avvicinarsi ai luoghi incriminati (sembra che una carrozza della metropolitana non sia stata ancora raggiunta dai soccorritori), la seconda è il modo con il quale le autorità hanno gestito la vicenda sotto il profilo dei mezzi di comunicazione di massa: a differenza di tante altre volte, le televisioni non hanno avuto libero accesso ai luoghi del terrore e quindi non si sono avute le solite immagini terrificanti, piene di sangue e arti maciullati, con persone inanimate o piangenti dal dolore e dalla sofferenza.
Anche le interviste che sono passate in televisione – c’è stata evidentemente una scelta precisa – facevano tutte perno sulla vigliaccheria degli attentatori e sulla straordinaria compostezza del popolo britannico; ne voglio riportare due: la prima di un ragazzo che ha affermato che queste “sono cose che non debbono succedere mai più” e la seconda di una donna che ha detto che debbiamo “impegnarci tutti per fare in modo che tutto questo non accada mai più”.
Come si vede sono dichiarazioni responsabili, affatto piagnucolose, piene di quella dignità che risaltò anche nei tempi bui della seconda guerra mondiale, quando l’Inghilterra rimase praticamente sola a combattere il nazismo,
Ed a proposito di dichiarazioni mi sento in dovere di riportare quella del premier britannico Blair in cui si afferma che nessun terrorismo potrà impaurirci e farci rinunciare ai nostri valori e neppure indurci a cambiare il nostro modello di vita; peraltro quest’ultimo concetto sul “modello di vita” è stato ribadito anche dalla Regina Elisabetta in visita ai feriti negli Ospedali londinesi.
Ritorno a quanto mi e vi chiedevo nel post di ieri: ma quale è o scopo di questi terroristi, siano essi guidati da Bin Laden o da altri? Una risposta – certamente non esaustiva ma interessante – la fornisce Bernard Henri Lévy che afferma come “bisogna smetterla con le teorie secondo le quali il terrorismo affonda le sue radici nel terreno della miseria e dello sfruttamento, bisogna muoversi, arrestare gli assassini, stroncare le loro reti di collegamento: in una parola dobbiamo diventare più forti di loro”.
Premesso che la “forza” di una democrazia è ben diversa da quella del terrorismo, ritorniamo ancora a cercare le finalità ultime di questi delinquenti e, come ho già avuto modo di dire ieri, non mi viene in mente niente di più veritiero di una lotta dell’Islam (inteso non come religione ma come cultura) contro tutti per riaffermare la propria superiorità: non ci dimentichiamo che per loro tutti gli altri sono considerati “infedeli” e così vengono apostrofati.
In questa guerra della “nostra” modernità, della nostra civiltà fatta anche di contraddizioni e impregnata dei nostri tanti dubbi, contro la “loro” forza culturale, piena di integralismo e arretratezza sociale, totalmente priva di qualsiasi dubbio, è chiaro che i più “attrezzati” alla battaglia sono loro, in quanto meno adusi alle mollezze ed ai lussi della nostra civiltà, ma dobbiamo aggiungere che dalla nostra parte ci possiamo includere anche lo strapotere tecnologico dell’occidente, a meno che qualcuno di noi non se lo venda per i classici trenta denari.
E quando si invoca l’intelligence, ovviamente non si parla del James Bond, ma delle tecnologie che si possono mettere in campo per conoscere i piani del nemico.

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