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giovedì, giugno 30, 2005

Ancora sulla Cina 

Spero che mi vorrete scusare se torno su un argomento che tratto da un paio di giorni, ma vi prometto che dopo questo post mi fermo e cambio obiettivo; lo spunto per affrontare ancora una volta il discorso sulla Cina mi proviene da alcune notizie apparse oggi sulla stampa internazionale che hanno, se non altro, il pregio di rendere il problema ancora più attuale e variegato.
La prima notizia arriva dalla Banca Mondiale e contiene un duro attacco agli U.S.A. e alla Unione Europea per le “restrizioni” sulle quali si discute – da vario tempo peraltro – per arginare la valanga cinese; ed è proprio con una similitudine che l’organismo finanziario internazionale inizia le sue critiche: “qualunque restrizione che verrà posta in atto è sbagliata, sleale e inefficace; è come cercare di arginare la marea con un muretto di sabbia”.
E prosegue: “è anche ipocrita imporre restrizioni a paesi che sono riusciti a sviluppare le proprie economie, mentre contemporaneamente si afferma di voler aiutare i paesi meno avanzati a uscire dalla povertà proprio incoraggiandone lo sviluppo; davanti ai successi dello sviluppo, dazi e restrizioni sul commercio sono la peggiore delle risposte”.
Tutto giusto, tutto condivisibile, anche se non si affronta il problema nella sua complessità circa l’impatto che si ha con i paesi di sbocco di questo nuovo mercato; poi non si dice come dovrebbe essere invece affrontato – e possibilmente risolto – poiché sta mettendo in serie difficoltà le economie di vari paesi; ed infine non si fa cenno alla condivisione di alcune regole che dovrebbero essere uguali per tutti e dovrebbero contenere una sostanziale lealtà operativa: il W.T.O., del quale anche la Banca Mondiale fa parte se non altro come “uditore” lo ha detto a chiare lettere, senza però possedere il necessaro deterrente per fare imporre a tutti queste regole.
Certo che se guardiamo un po’ indietro nel tempo – diciamo una cinquantina di anni – la stessa Italia ha messo in piedi il boom del dopoguerra attraverso una spregiudicata politica di restrizione dei salari, volta a rendere maggiormente competitiva la nostra merce sui mercati internazionali, ma non dimentichiamo che in Italia c’erano comunque i sindacati (ed erano anche più forti degli attuali e sicuramente i più forti d’Europa) e non era certo neppure lontanamente ipotizzabile una qualsiasi forma di schiavitù nel mondo del lavoro, come invece viene dato per scontato anche da alti dirigenti cinesi.
A proposito di dirigenti cinesi, la magistratura spagnola ha accolto una denuncia penale nei confronti dell’ex presidente Jiang Zemin e contro l’ex primo ministro Li Peng, accusandoli di genocidio in Tibet.; insieme a loro sono sotto accusa tutta una serie di funzionari minori che dovranno rispondere di crimini gravissimi.
Quando il procedimento verrà assegnato ad un giudice, questi – se lo riterrà opportuno – potrà anche chiedere l’arresto di questi personaggi, anche perché al momento attuale nessuno delle persone incriminate gode di particolari immunità.
Gli avvocati spagnoli che seguono il caso hanno dichiarato che “otto anni di indagini hanno dimostrato che la sistematica violazione dei diritti umani, comprese le torture, continua in Tibet, malgrado la Cina abbia firmato la Convenzione contro il genocidio e le torture”.
Perché ho messo insieme le due notizie? Perché la prima mostra un “paese in via di sviluppo che cerca il proprio posto nel contesto dell’economia mondiale”, mentre la seconda presenta “un paese e una dirigenza autenticamente imperialista e reazionaria”.

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