lunedì, maggio 30, 2005
I Care
I care significa “io me ne occupo” ed è quindi il contrario del “me ne frego” di fascistiana memoria; era il motto che Don Lorenzo Milani, il grande pedagogo e parroco “scomodo” della sperduta Chiesetta di Barbiana, in Provincia di Firenze, aveva collocato sul muro dell’aula dove faceva scuola ai figli dei contadini del Mugello: poiché sono un grande estimatore del prete toscano, autore tra l’altro di “Lettera ad una professoressa” e di “L’obbedienza non è più una virtù”, circa venti anni fa ho assunto il suo motto come mio proponimento e, nel fare questo, mi sono scritto grandissimo sul muro del mio studio la frase sopra citata.
Già, ma in questi giorni mi è venuto in mente che “Care”, con l’aggiunta di “International”, è anche il nome dell’associazione umanitaria per la quale opera la nostra Clementina Cantoni che da troppo tempo è in mano a una banda di rapitori a Kabul.
Chi sono questi rapitori? Sembra che sia un combinato disposto – come avviene quasi sempre – tra delinquenti comuni e talebani, cioè musulmani integralisti che sono stati scalzati al potere in Afghanistan dopo l’attacco alle Twin Towers: in pratica sono gli unici ad averci rimesso il posto quando gli americani si sono arrabbiati, anche perché il loro capo, il mullah Omar, è il cognato di Osama bin Laden.
Torniamo all’associazione “Care International” e alla nostra Clementina: è ovvio che queste strutture sono le prime ad accorrere in zone anche pericolose quando si prospetti il bisogno di collaborazione; in pratica Clementina si occupava delle varie situazioni legate alle vedove di guerra e comunque alle donne rimaste sole per i più svariati motivi.
Si comprende così per quale motivo gli integralisti islamici se la prendano in maniera particolare con le donne: anzitutto sono un “esempio”, ovviamente “negativo”, per le loro donne, costrette dall’esasperazione religiosa ad occuparsi di nient’altro che non sia l’andamento della casa e i bisogni del loro uomo; poi sono quelle che diventano delle eroine nei confronti delle popolazioni bisognose ed anche questo non va bene agli occhi dei talebani; inoltre la nostra compatriota è già diventata molto famosa nel novero delle donne afgane e questa posizione non è certo apprezzata da coloro che vedono la condizione delle femmine in maniera ben diversa da questa.
La componente delinquenziale dei rapitori cerca, invece, soltanto vantaggi materiali – soldi e amici o parenti da liberare dalla galera – e c’è da augurarsi che possa prendere il sopravvento nella sciagurata compagine: sembra addirittura che il capo della banda abbia richiesto la scarcerazione della madre accusata a sua volta di rapimento!
Ogni volta che mi siedo alla mia scrivania accarezzo con lo sguardo il motto che vi campeggia sopra (I Care) e alcune volte mi sento investito di grande responsabilità per volermi attenere al dettato di questo slogan: certo che è impegnativo seguirlo fedelmente ma è anche di grande soddisfazione; alcune volte – lo confesso – quando non mi comporto in linea con quanto significa il motto, evito di guardarlo, nascondendomi così alla precisa responsabilità di essere in difetto.
L’uomo sa bene come poter ovviare alle proprie mancanze morali, è addestratissimo a farlo e non ne sente più alcuna conseguenza negativa: perché io dovrei essere diverso dagli altri?
Già, ma in questi giorni mi è venuto in mente che “Care”, con l’aggiunta di “International”, è anche il nome dell’associazione umanitaria per la quale opera la nostra Clementina Cantoni che da troppo tempo è in mano a una banda di rapitori a Kabul.
Chi sono questi rapitori? Sembra che sia un combinato disposto – come avviene quasi sempre – tra delinquenti comuni e talebani, cioè musulmani integralisti che sono stati scalzati al potere in Afghanistan dopo l’attacco alle Twin Towers: in pratica sono gli unici ad averci rimesso il posto quando gli americani si sono arrabbiati, anche perché il loro capo, il mullah Omar, è il cognato di Osama bin Laden.
Torniamo all’associazione “Care International” e alla nostra Clementina: è ovvio che queste strutture sono le prime ad accorrere in zone anche pericolose quando si prospetti il bisogno di collaborazione; in pratica Clementina si occupava delle varie situazioni legate alle vedove di guerra e comunque alle donne rimaste sole per i più svariati motivi.
Si comprende così per quale motivo gli integralisti islamici se la prendano in maniera particolare con le donne: anzitutto sono un “esempio”, ovviamente “negativo”, per le loro donne, costrette dall’esasperazione religiosa ad occuparsi di nient’altro che non sia l’andamento della casa e i bisogni del loro uomo; poi sono quelle che diventano delle eroine nei confronti delle popolazioni bisognose ed anche questo non va bene agli occhi dei talebani; inoltre la nostra compatriota è già diventata molto famosa nel novero delle donne afgane e questa posizione non è certo apprezzata da coloro che vedono la condizione delle femmine in maniera ben diversa da questa.
La componente delinquenziale dei rapitori cerca, invece, soltanto vantaggi materiali – soldi e amici o parenti da liberare dalla galera – e c’è da augurarsi che possa prendere il sopravvento nella sciagurata compagine: sembra addirittura che il capo della banda abbia richiesto la scarcerazione della madre accusata a sua volta di rapimento!
Ogni volta che mi siedo alla mia scrivania accarezzo con lo sguardo il motto che vi campeggia sopra (I Care) e alcune volte mi sento investito di grande responsabilità per volermi attenere al dettato di questo slogan: certo che è impegnativo seguirlo fedelmente ma è anche di grande soddisfazione; alcune volte – lo confesso – quando non mi comporto in linea con quanto significa il motto, evito di guardarlo, nascondendomi così alla precisa responsabilità di essere in difetto.
L’uomo sa bene come poter ovviare alle proprie mancanze morali, è addestratissimo a farlo e non ne sente più alcuna conseguenza negativa: perché io dovrei essere diverso dagli altri?