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sabato, marzo 05, 2005

Tango Bond 

Sono conscio che oggi dovrei parlare della liberazione della giornalista Giuliana Sgrena e della morte – eroica e sfortunata – di un alto funzionario del SISMI che aveva condotto le trattative in Irak, pagato il riscatto (si parla di 5 milioni di dollari) e stava conducendo la donna liberata verso l’aeroporto; un imbecille di soldato americano – in parte scusabile con la tensione che si vive in quei luoghi – ha fatto fuoco contro l’auto che stava procedendo, si dice, troppo velocemente e, oltre alla morte dello 007 provocava il ferimento della giornalista e dei due altri italiani a bordo.
Vediamo ora come si comporterà il nostro governo nei confronti di quello statunitense!
Comunque sia, una giornata che avrebbe potuto essere piena di gioia si è trasformata in una tragedia mitigata dalla felicità per la liberazione di Giuliana: sono così arrabbiato che non mi va di continuare su questo tema e quindi affronto un altro argomento interessante: i “tango bond”.
Un breve passo indietro: negli anni ’90 il governo argentino emise delle obbligazioni ad un tasso molto vantaggioso per gli investitori che, in patria, vedevano arretrare i rendimenti dei titoli e delle obbligazioni consuete.
Molti di loro, si parla di 450.000 investitori solo in Italia – “consigliati” dalle Banche, o comunque non avvertiti della logica pericolosità dell’operazione – hanno aderito all’iniziativa ed hanno acquistato questi titoli che, per i primi anni, hanno reso quanto stabilito e successivamente, ormai sono quattro o cinque anni, non hanno più reso niente e sono diventati indisponibili anche in linea capitale.
Si è verificato il “default” (avrete letto questa parola mutuata dal linguaggio inglese dell’elettronica) e il governo argentino ha sostanzialmente dichiarato fallimento, o meglio si è dichiarato indisponibile a rimborsare le obbligazioni al loro valore facciale.
In un primo momento ha cercato (il governo argentino) di correlare la situazione delle obbligazioni con quella della carne argentina che l’Europa importava in modica quantità, in quanto utilizzatrice della carne continentale; successivamente si è compreso bene che era una sorta di ricatto, al quale i paesi dell’U.E. non potevano sottostare e, comunque, anche se fosse stato accettato, non comportava alcuna garanzia di contropartita da parte degli argentini.
Circa un anno fa il governo debitore ha fatto una proposta di riduzione del debito a circa il 30% del suo valore nominale e ha aggiunto una clausola capestro: o così o niente.
Due terzi dei debitori italiani – forse anche un po’ incazzati per la strafottenza argentina – non hanno aderito al piano del debitore e, “consigliati” da un certo Nicola Stock si sono messi in aperto contrasto con tutti gli altri creditori nel mondo che, invece, hanno aderito per circa il 75% all’offerta argentina.
E ora, ci sarebbe da chiedersi, che cosa facciamo? Stock non ha fatto una piega al successo dell’iniziativa argentina e ha detto che “stiamo predisponendo gli strumenti più opportuni, ecc. ecc.”; insomma, in questi discorsi c’è una gran puzza di aria fritta alla quale poi in genere fa seguito una solenne fregatura.
Alcuni creditori che hanno fatto causa direttamente alla banca tramite la quale avevano effettuato l’investimento hanno avuto pienamente ragione in tribunale; ma ci vorrebbe una azione più massiccia per tentare di sistemare la gran massa di creditori italiani.
Mi punge vaghezza che, così come è stato con Cirio e come probabilmente sarà con Parmalat, chi ci rimette è sempre lo stesso: il povero cittadino indifeso e ignorante su cui si riversa tutta la vigliaccheria di questo mondo che ormai è abituato a vivere di rapine.

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