venerdì, gennaio 21, 2005
Pazzia e disperazione
Proprio ieri, in un mio “zibaldone” comprendente altri argomenti, citavo quello di un dramma familiare accaduto alle porte di Firenze: un agente di commercio in pensione (aveva solo 56 anni), ha ucciso la moglie e il figlio e quindi si è tolto la vita. I tre corpi – ognuno composto sul proprio letto – sono stati scoperti dopo tre giorni e dopo che gli amici con i quali il capofamiglia andava sovente a caccia lo hanno cercato molte volte e con svariati mezzi; solo dopo tre giorni hanno capito che c’era qualcosa che non andava in queste mancate risposte e hanno allertato i carabinieri che hanno poi fatto la macabra scoperta.
I motivi: ammesso che si possa (anzi si debba) cercare dei motivi per un dramma del genere, sembra che l’agente di commercio avesse finito tutti i soldi inseguendo – anche lui come altre decine di migliaia – il mito del ritardatario 53 sulla ruota di Venezia e, per di più passando varie ore della giornata a giocare al videopoker in alcuni Bar della zona.
Proviamo a fare alcune riflessioni su questa vicenda; anzitutto vediamo l’ambito familiare: il suicida – omicida era sposato con una bella donna ancora molto giovanile e aveva un figlio di quasi trenta anni; possiamo definirla una bella famiglia, senza problemi di carattere affettivo.
Poi gli amici: un gruppo di signori coetanei che dividevano con lui la passione per la caccia e che si ritrovavano periodicamente per stare insieme a ridere e scherzare oppure a fare progetti di caccia in un vicino laghetto.
Con alcuni di loro si sarebbe confidato circa la sua passione per il gioco – lotto e videopoker – e avrebbe confessato di un grosso debito contratto per questi motivi, ma a nessuno di loro è venuto in mente che il loro amico potesse maturare una idea così tremenda per “risolvere” tutti i suoi problemi.
Con l’esame di questo ambito – familiare e amicale – ho voluto dire che in questo caso siamo in presenza di una persona che vive all’interno della odierna società, frequenta amici e locali, gioca e si diverte. Tutto il contrario quindi di alcune tragedie del recente passato, consumate all’interno di una famiglia chiusa, disperata, senza possibilità di alcuna spesa, piena di paure e di vergogna verso l’esterno.
Questo signore, quindi, era l’esatto contrario del prototipo classico del suicida-omicida che abbiamo incontrato di recente; pensate che gli amici – che erano andati fino a casa senza ricevere risposta alle scampanellate – gli avevano lasciato un biglietto sul parabrezza dell’auto parcheggiata di fronte: “chiamaci appena trovi questo biglietto”.
Ciò che hanno manifestato gli amici – non si parla di parenti, forse non ne aveva – può considerarsi interessamento, ricerca di comunicazione oppure è la solita amicizia che non va oltre una dubbia esteriorità, senza mai intaccare quella che è la vera essenza dell’individuo?
Voglio dire, ancora, quell’amico o quegli amici che hanno ricevuto la confidenza delle difficoltà finanziarie nelle quali versava l’uomo, come potevano fare a ipotizzare una fine così cruenta? Come potevano immaginare una mente così disastrata da sterminare tutta la famiglia?
E soprattutto non hanno ricevuto nessuna richiesta di aiuto: vergogna o che altro? Evidentemente non aveva mostrato segni di alterazione mentale, altrimenti l’allarme sarebbe scattato prima; o forse quello che continuiamo a chiamare “amicizia” era poco più di una “conoscenza”.
La verità, senza con questo voler pontificare, è che anche stando insieme non è detto che vengano fuori i nostri problemi o, peggio ancora, le nostre richieste di aiuto. Forse perché l’avvicinarsi della pazzia induce ad una disperazione che è prima di tutto misoginia.
I motivi: ammesso che si possa (anzi si debba) cercare dei motivi per un dramma del genere, sembra che l’agente di commercio avesse finito tutti i soldi inseguendo – anche lui come altre decine di migliaia – il mito del ritardatario 53 sulla ruota di Venezia e, per di più passando varie ore della giornata a giocare al videopoker in alcuni Bar della zona.
Proviamo a fare alcune riflessioni su questa vicenda; anzitutto vediamo l’ambito familiare: il suicida – omicida era sposato con una bella donna ancora molto giovanile e aveva un figlio di quasi trenta anni; possiamo definirla una bella famiglia, senza problemi di carattere affettivo.
Poi gli amici: un gruppo di signori coetanei che dividevano con lui la passione per la caccia e che si ritrovavano periodicamente per stare insieme a ridere e scherzare oppure a fare progetti di caccia in un vicino laghetto.
Con alcuni di loro si sarebbe confidato circa la sua passione per il gioco – lotto e videopoker – e avrebbe confessato di un grosso debito contratto per questi motivi, ma a nessuno di loro è venuto in mente che il loro amico potesse maturare una idea così tremenda per “risolvere” tutti i suoi problemi.
Con l’esame di questo ambito – familiare e amicale – ho voluto dire che in questo caso siamo in presenza di una persona che vive all’interno della odierna società, frequenta amici e locali, gioca e si diverte. Tutto il contrario quindi di alcune tragedie del recente passato, consumate all’interno di una famiglia chiusa, disperata, senza possibilità di alcuna spesa, piena di paure e di vergogna verso l’esterno.
Questo signore, quindi, era l’esatto contrario del prototipo classico del suicida-omicida che abbiamo incontrato di recente; pensate che gli amici – che erano andati fino a casa senza ricevere risposta alle scampanellate – gli avevano lasciato un biglietto sul parabrezza dell’auto parcheggiata di fronte: “chiamaci appena trovi questo biglietto”.
Ciò che hanno manifestato gli amici – non si parla di parenti, forse non ne aveva – può considerarsi interessamento, ricerca di comunicazione oppure è la solita amicizia che non va oltre una dubbia esteriorità, senza mai intaccare quella che è la vera essenza dell’individuo?
Voglio dire, ancora, quell’amico o quegli amici che hanno ricevuto la confidenza delle difficoltà finanziarie nelle quali versava l’uomo, come potevano fare a ipotizzare una fine così cruenta? Come potevano immaginare una mente così disastrata da sterminare tutta la famiglia?
E soprattutto non hanno ricevuto nessuna richiesta di aiuto: vergogna o che altro? Evidentemente non aveva mostrato segni di alterazione mentale, altrimenti l’allarme sarebbe scattato prima; o forse quello che continuiamo a chiamare “amicizia” era poco più di una “conoscenza”.
La verità, senza con questo voler pontificare, è che anche stando insieme non è detto che vengano fuori i nostri problemi o, peggio ancora, le nostre richieste di aiuto. Forse perché l’avvicinarsi della pazzia induce ad una disperazione che è prima di tutto misoginia.