mercoledì, gennaio 19, 2005
La giustizia ne ha combinata un'altra
Avrei voluto smettere di attaccare la giustizia (cioè la magistratura) per parlare di altro, ma la vicenda del giovane Ruggero Jucker mi costringe a riparlare ancora una volta delle “malefatte giudiziarie”; ricordiamo brevemente la vicenda: siamo nel 2002 quando lo Jucker – giovane rampollo di una agiata famiglia milanese dell’alta borghesia – uccide la fidanzata, una ragazza di 23 anni, convivente con lui da vario tempo, con 22 coltellate e infierisce sul corpo della giovane quando era ancora viva..
La Corte d’Assise di Milano, gli riconosce le aggravanti della particolare ferocia del delitto e lo condanna – nonostante la riconosciuta seminfermità mentale – a 30 anni di reclusione.
Il ricorso della difesa ha portato ieri il Jucker – peraltro assente dall’aula – in Corte d’Assise d’Appello e, attraverso un patteggiamento tra difesa e procura, si è giunti ad annullare, mediante l’uso delle attenuanti, le aggravanti facendo così derubricare il delitto da “omicidio aggravato” in “omicidio semplice”, punito – secondo il codice con 24 anni, dei quali un terzo (cioè 8 anni) sono stati tolti per effetto del rito abbreviato e quindi ne rimangono da scontare solo 16: si dice negli ambienti del tribunale che tra meno di 5 anni avrà la semilibertà e tra dieci gli arresti domiciliari.
La Procura della Repubblica di Milano si è “difesa” dicendo che se non accettava questa forma compromissoria e andare al dibattimento, rischiava di subire una infermità mentale ancora maggiore che avrebbe diminuito la pena in maniera ben più pesante.
Che dire, sarà certamente come dicono loro, però…!
La particolare efferatezza del crimine e l’atteggiamento di superiorità mostrato dal giovane Jucker, facevano dire a tutti (cioè alla gente, cioè al “popolo” in nome del quale si amministra giustizia) che la pena ideale sarebbe stata quella di “sbatterlo dentro e buttare via la chiave della cella”.
Quando i magistrati – rigorosamente con la “lettera minuscola” – sentono questi discorsi storcono la bocca, dall’alto della loro conoscenza dottrinale; ma non mi si dica che tutto questo armeggiare in combutta con i difensori non sia profondamente deleterio ai fini del buon nome della Giustizia (questa volta con la maiuscola).
La famiglia della ragazza barbaramente uccisa era presente alla nuova sentenza ma è uscita dall’aula senza proferire verbo; il suo Avvocato di Parte Civile ha rilasciato sobrie dichiarazioni che lasciano trasparire un profondo disappunto, ma tutto nei limiti della civile convivenza.
Ma non è che questo pacato atteggiamento assolva i magistrati dal loro operato che, ripeto, è tecnicamente esatto, ma in contrasto con quello che sono le aspettative della gente.
“Con chi commette atti del genere bisogna buttar via la chiave. Con questa sentenza la povera Alenya muore per la seconda volta”, questo il commento del ministro leghista Roberto Calderoli che ha poi aggiunto: “Sarebbe utile un’attenta riflessione su tutto l’ordine della magistratura e su come funziona”.
Purtroppo il commento di cui sopra proviene da una persona alla quale non sono legato da nessuna stima e nessun “idem sentire”, ma debbo dire che in questa circostanza è stato il solo a prendere una posizione netta e precisa e che io – purtroppo – mi vedo costretto a condividere.
La Corte d’Assise di Milano, gli riconosce le aggravanti della particolare ferocia del delitto e lo condanna – nonostante la riconosciuta seminfermità mentale – a 30 anni di reclusione.
Il ricorso della difesa ha portato ieri il Jucker – peraltro assente dall’aula – in Corte d’Assise d’Appello e, attraverso un patteggiamento tra difesa e procura, si è giunti ad annullare, mediante l’uso delle attenuanti, le aggravanti facendo così derubricare il delitto da “omicidio aggravato” in “omicidio semplice”, punito – secondo il codice con 24 anni, dei quali un terzo (cioè 8 anni) sono stati tolti per effetto del rito abbreviato e quindi ne rimangono da scontare solo 16: si dice negli ambienti del tribunale che tra meno di 5 anni avrà la semilibertà e tra dieci gli arresti domiciliari.
La Procura della Repubblica di Milano si è “difesa” dicendo che se non accettava questa forma compromissoria e andare al dibattimento, rischiava di subire una infermità mentale ancora maggiore che avrebbe diminuito la pena in maniera ben più pesante.
Che dire, sarà certamente come dicono loro, però…!
La particolare efferatezza del crimine e l’atteggiamento di superiorità mostrato dal giovane Jucker, facevano dire a tutti (cioè alla gente, cioè al “popolo” in nome del quale si amministra giustizia) che la pena ideale sarebbe stata quella di “sbatterlo dentro e buttare via la chiave della cella”.
Quando i magistrati – rigorosamente con la “lettera minuscola” – sentono questi discorsi storcono la bocca, dall’alto della loro conoscenza dottrinale; ma non mi si dica che tutto questo armeggiare in combutta con i difensori non sia profondamente deleterio ai fini del buon nome della Giustizia (questa volta con la maiuscola).
La famiglia della ragazza barbaramente uccisa era presente alla nuova sentenza ma è uscita dall’aula senza proferire verbo; il suo Avvocato di Parte Civile ha rilasciato sobrie dichiarazioni che lasciano trasparire un profondo disappunto, ma tutto nei limiti della civile convivenza.
Ma non è che questo pacato atteggiamento assolva i magistrati dal loro operato che, ripeto, è tecnicamente esatto, ma in contrasto con quello che sono le aspettative della gente.
“Con chi commette atti del genere bisogna buttar via la chiave. Con questa sentenza la povera Alenya muore per la seconda volta”, questo il commento del ministro leghista Roberto Calderoli che ha poi aggiunto: “Sarebbe utile un’attenta riflessione su tutto l’ordine della magistratura e su come funziona”.
Purtroppo il commento di cui sopra proviene da una persona alla quale non sono legato da nessuna stima e nessun “idem sentire”, ma debbo dire che in questa circostanza è stato il solo a prendere una posizione netta e precisa e che io – purtroppo – mi vedo costretto a condividere.