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domenica, gennaio 30, 2005

Chi si ricorda del giudice Sossi? 

Negli anni ’70 (precisamente nel 1974) il giudice genovese Mario Sossi venne rapito dalle Brigate Rosse che, per liberarlo chiedevano il rilascio di 8 loro “colleghi” arrestati; il rapito venne liberato dopo poco più di un mese di detenzione, senza che i brigatisti venissero scarcerati. E’ proprio Sossi che presiede la sezione della Corte di Cassazione che ordina di rifare il processo d’appello per Erra, l’unico “adulto” imputato nel caso di Desirée Piovanelli, brutalmente stuprata e uccisa, condannato a “soli” venti anni di carcere: “sono pochi, ha detto la Cassazione, non sono state valutate le aggravanti, rifate il processo”.
Contemporaneamente a questa sentenza emessa nel pieno mandato delle sue funzioni giurisdizionali, il giudice Sossi ha rilasciato una intervista nella quale affronta alcune posizioni che si sono determinate nel mondo della giustizia: la prima è quella della separazione delle carriere, un autentico tabù che, ogni volta che viene avanzato da qualche politico, riceve come minimo qualche impropero e uno…sciopero.
Su questo argomento Sossi non solo afferma di essere favorevole, ma fa di più, confidando che anche a sinistra, tra i magistrati ci sono molte posizioni favorevoli alla separazione, ma chi la pensa così non ha voce, si sente isolato, non compare.
Sossi affronta poi il problema delle cosiddette “sentenze miti” e degli “sconti” che in base alla legge Gozzini vengono applicati ai detenuti: “la gente non può non restare sconcertata dinanzi a questi benefici che vengono estesi anche ad autori di crimini molto gravi. I cittadini rimangono sbalorditi e così si mina la fiducia, il senso stesso della giustizia, si acuisce il divario tra il sentire della società e certe decisioni dei magistrati”.
Le affermazioni del giudice Sossi mi confortano per le numerose battaglie che da tempo oso intraprendere nei confronti della magistratura; a dare manforte a quanto sopra detto, c’è l’ultima battuta di Sossi all’intervistatore: “all’interno dell’Associazione Nazionale Magistrati la discussione è molto più aperta di quanto non appaia”. Allora significa che il monolitismo di facciata è solo un obbligo nei confronti dei referenti politici dell’associazione e che la stampa e le televisioni non hanno nessun interesse ad andare più a fondo nelle delibere dell’A.N.M.
A dimostrazione di quanto sopra, anche nel ricorso del pm Spataro verso la sentenza del giudice sulla vicenda degli islamici considerati “patrioti”, si legge che “ha omesso di valutare” o anche “ha erroneamente interpretato circostanze di fatto pacificamente risultanti agli atti”.
Come dicono i magistrati, le sentenze si impugnano, non si discutono; certo che chi lo può fare, come il pm Spataro, lo fa e con toni anche accesi, noi che non lo possiamo fare abbiamo due strade: tacere o scriverlo sui giornali, ma in quest’ultimo caso veniamo descritti come pericolosi cospiratori nei confronti dell’indipendenza della magistratura.
Un’ultima notazione: ricordate che la stampa ha messo fuori la voce che Omar – il complice di Erika nella carneficina di Asti – sarebbe stato scarcerato per fruire di pene alternative; ebbene il magistrato che si occupa del caso ha smentito, sdegnata, che ci sia in corso un provvedimento del genere (ma l’avvocato difensore ha fatto il pesce in barile dicendo e non dicendo). Ha solo ammesso che – udite bene – il giovane sta fruendo di 45 giorni di “omaggio” ogni sei mesi (cioè 180 giorni) di pena scontata. Facciamo un po’ di conti: 45 di sconto su 180 è pari al 25%, cosicché possiamo affermare che nella nostra giustizia gli “sconti” durano tutto l’anno e non per periodi delimitati come avviene nel commercio.

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