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sabato, dicembre 18, 2004

Ancora su Giudici e "Giustizia" 

Gli spettatori dei TG di ieri sera avranno visto, con sgomento, le reazioni dei parenti degli uccisi (tra i quali una bambina di neppure tre anni), nei confronti della sentenza che condanna l’assassino (quattro omicidi in tutto) a “soli” venti anni di carcere.
Diceva il Beccarla che la pena che la magistratura irroga al condannato serve alla società per sanare, almeno in parte, la ferita che il delitto ha aperto.
L’assassino – un piccolo balordo di periferia – dopo un diverbio con i complici nello spaccio di droga, decide di affrontarli e, impugnata una calibro 9, li cerca, li rintraccia in un locale affollato e li uccide, sparando poi anche “nel mucchio” e uccidendo una bimba di neppure tre anni e un pensionato di 65 anni, che ovviamente non c’entravano niente.
Il processo, realizzato con il “rito abbreviato” presso il Tribunale di Milano, si è concluso con una condanna del pluriomicida a venti anni di reclusione, a fronte di una richiesta dell’ergastolo avanzata dalla pubblica accusa.
Chiarissimo il discorso fatto dal giudice: anzitutto lo ha condannato per omicidio premeditato per una sola uccisione, mentre per le altre ha applicato l’omicidio volontario e quindi, dall’ergastolo chiesto dal P.M. si arriva ai trenta anni comminati dal Giudice per effetto della concessione dell’attenuante dello stato d’ira negata dal P.M. ; i trenta anni sono poi ridotti a 20 per l’applicazione del rito alternativo e quindi, i conti tornano.
Tutto bene e tutto giusto, ci mancherebbe altro, ma i parenti della bambina e del pensionato (che, ripeto, non c’entravano niente) non hanno afferrato tutto il meccanismo sanzionatorio o – anche se lo hanno compreso – lo hanno trovato assolutamente ingiusto in quanto sono certi che l’assassino non sconterà neppure i venti anni e, al massimo dopo quindici, se lo troveranno fuori.
È chiaro che questi signori sono degli ignoranti (nel senso che ignorano) circa la materia giudiziaria; è chiaro altresì che l’assunto del Giudice non fa una piega ed è tecnicamente inattaccabile, però c’è lo stesso qualcosa che mi induce a fare qualche riflessione.
Come ho detto altre volte, non ci dimentichiamo che il Giudice emette sentenza “in nome del popolo italiano”, del quale facciamo parte io che scrivo questa nota, voi che la leggete, ma anche i parenti dei poveri morti che chiedevano “giustizia” e, a loro modo di pensare, non l’hanno ottenuta.
Questo “popolo” in nome del quale si sentenzia, ha solo il diritto di ascoltare e seguire il dettato dei magistrati che dice: “una sentenza va sempre rispettata”?
Certo che va rispettata, nessuno ipotizza il contrario, però è possibile che nessuno si chieda se una sentenza che fa insorgere così tante persone è una sentenza giusta o no?
Dico giusta o no per quel principio che citavo all’inizio, cioè che ogni pena deve servire alla società per medicare la ferita inferta dall’evento delittuoso.
In questo caso non si è fatto proprio niente per lenire la ferita, anzi si è rimesso il coltello nella piaga e si è girato violentemente procurando un nuovo ed ancor più violento dolore.
Ecco, io mi domando se questa può considerarsi “giustizia resa” oppure no; certo, mi piace ripetere che tecnicamente non ho niente da eccepire, ma sotto il profilo morale e di “giustizia vera” ho molto da ridire.
A meno che, quando si emette una sentenza con la quale la “gente interessata” non concorda, il Giudice dica: “in nome del popolo italiano, escluso Tizio, Caio, Sempronio, la sig.ra Cesira,….”.e via di questo passo elencando i dissenzienti.
Sarebbe tutto molto più chiaro, non trovate?


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