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mercoledì, novembre 17, 2004

Il problema dei pentiti 

E’ di ieri l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” per il Tenente Canale, braccio destro del compianto Magistrato Borsellino, accusato dalla Procura di Palermo di concorso in associazione mafiosa e corruzione.
Le prove in virtù delle quali Canale è stato rinviato a giudizio sono rappresentate dalle “rivelazioni” di ben 12 pentiti, capitanati – udite, udite – dal celebre Giovanni Brusca che, insieme a Balduccio Di Maggio guida la classifica del campionato mondiale dei pentiti.
Attualmente il primo gira libero e giocondo pur con i suoi 100 omicidi da scontare e – la cosa più sconvolgente – l’uccisione e lo scioglimento nell’acido di un ragazzino di dodici anni, figlio di un pentito di mafia.
Il Tenente Canale – nel frattempo promosso al grado di Capitano – ha ovviamente tirato un sospiro di sollievo dopo che per ben otto anni lo hanno trascinato nel fango dei sospetti più infamanti e, dopo avere ascoltato la sentenza, ha così commentato: “Dedico questo giorno a due persone scomparse, mia figlia Antonella e Paolo Borsellino, al quale sono legato da profonda amicizia. Altri sono i traditori di Borsellino e lo dirò nei prossimo giorni”.
Questa ennesima assoluzione di personaggi accusati dai pentiti Brusca e Di Maggio, dovrebbe indurre la Magistratura a compiere qualche riflessione: solo per citare il più famoso, prima di Canale è stato assolto anche un certo Andreotti che, a detta di Di Maggio – si era sbaciucchiato con Totò Riina.
Come comportarsi nel caso che le accuse di un pentito siano poi considerate false o non sufficienti per condannare qualcuno? Nei due casi il Giudice le ha considerate false in quanto l’assoluzione è avvenuta perché “il fatto non sussiste”.
E’ fuor di dubbio che le rivelazioni dei pentiti sono state e lo sono tuttora, un’autentica manna piovuta dal cielo per i magistrati impegnati in indagini sulla criminalità organizzata; quello però che lascia sconcertati è l’apparente mancanza di riscontri eseguiti su tali rivelazioni, l’apparente superficialità delle indagini svolte dai P.M.
Sembrerebbe quasi – ma non voglio essere malizioso – che in molti casi gli inquirenti si limitino a prendere per buone le confidenze e le ricostruzioni eseguite da “delinquenti-ora-pentiti”; ho come l’impressione che in certi casi le doverose indagini a suffragio delle rivelazioni, siano condotte con una notevole superficialità che, in qualche caso, può apparire “strumentale”
Questa è una mia impressione, l’impressione peraltro di un profano dell’ambiente giudiziario, ma una cosa balza evidente: la necessità che la magistratura si comporti in maniera diversa nei confronti dei pentiti a seconda – scusate la brutalità – del risultato che si ha in Tribunale sulla scorta delle loro rivelazioni.
In che modo mettere in piedi una situazione del genere non lo so proprio; quale possa essere il meccanismo da rivedere non lo so, però di una cosa sono certo: l’opinione pubblica è stufa di questi linciaggi (otto lunghi anni è durata l’odissea di Canale) che poi si concludono con un’assoluzione e con uno “scusi tanto”.
La gente della strada, quella gente in nome della quale vengono emesse le sentenze, chiede maggior rigore nei confronti dei pentiti e dei P.M. che li hanno “in carico”; anche se è brutto dirlo, ma la famosa casalinga di Vigevano, si domanda come è potuto avvenire tutto questo e, soprattutto, chi ripaga Canale dalle tante sofferenze? Lo Stato o il magistrato che ha fatto le indagini ed ha raccolto la deposizione dei pentiti?
E’ una bella domanda, lo so ed è per questo che mi piace farla.


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