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venerdì, ottobre 15, 2004

Impresenziare: nuovi verbi, vecchie logiche 

Location: una stazione di un capoluogo di provincia del nord-ovest; protagonista: io che sono arrivato con quaranta minuti di anticipo e cerco di far passare il tempo.
Girellando qua e là, sul primo binario della stazione, vedo una stanza che ha come indicazione: “Assistenza clienti”; hai visto, mi dico, anche le Ferrovie non ci considerano più come utenti (cioè costretti a usufruire) ma come clienti, persone cioè da assecondare e da tenerne di conto, perché altrimenti non tornano.
Mi avvicino alla porta d’ingresso e dalla medesima esce un signore (faccia di tola, fisico asciutto e ben tenuto, tipico di chi non ha mai fatto niente in vita sua, pantalone bianco immacolato, maglia altrettanto candida, ma con alcune righe multicolori); il signore in questione che cosa combina: applica alla porta un cartellino che recita: “SE L’UFFICIO
E’ IMPRESENZIATO, RIVOLGERSI ALL’UFFICIO INFORMAZIONI”.
Apposto questo capolavoro di lessico e di grammatica, si dirige verso la stanza accanto e si mette beatamente a chiacchierare con un altro signore; dopo alcuni minuti, si stanca anche di stare lì e si dirige verso il Bar, dove prende un caffè; dopo, esce addirittura dalla Stazione e non si vede per alcuni minuti; poi ritorna e riprende a “impresenziare” l’ufficio, ma solo per alcuni secondi, perché un nuovo bisogno lo obbliga a uscire e a dirigersi verso….non so dove, sono stato costretto ad andare a prendere il mio treno, posso solo dire che nella mezzora che sono stato davanti all’Ufficio Assistenza Clienti, il signore sarà stato presente per non più di trenta secondi.
Dopo avere scherzato sul termine “impresenziare” (del resto le Ferrovie sono famose per i verbi strani, ricordate l’obliterare di qualche anno fa?), dobbiamo però fare una qualche riflessione sul signore che non impresenzia manco per niente.
Questo ometto, fa parte della schiera di coloro che al mattino, appena alzati, NON ringraziano Dio e la Madonna per la fortuna che hanno avuto nel trovare un posto di lavoro di questo genere; e dopo colazione NON ringraziano tutti i Santi per essere impiegati in una struttura che gli consente di fare il porco comodo; e prima di uscire di casa NON ringraziano il Padreterno per la sicurezza del posto di lavoro e, soprattutto dello stipendio, per la tutela sindacale che è loro assicurata e tante altre facilitazioni; e, buon ultimo, quando arrivano al lavoro, NON ringraziano Gesù Bambino per avergli trovato un posto di lavoro nel quale il lavoro è solo un modo di dire.
Mi ricorda una frase che viene attribuita, nell’ambiente, ad un giornalista che ad un amico che gli domandava come si trovasse a fare questo mestiere, gli rispose: “fare il giornalista è molto faticoso, lavorare però è un’altra casa, è molto peggio!”.
Fino a qui abbiamo scherzato, ma poi mi viene in mente che, per la serie ride bene chi ride l’ultimo, il signore “impresenziatore”, a quest’ora è bello tranquillo a casa propria, pacioso e ben pasciuto, certo del proprio domani e anche del domani l’altro.
E noi? Noi invece siamo a roderci il fegato, a vedere scene nelle quali per fare un lavoro da una persona ce ne mettono tre e che per mandare avanti questo benedetto Paese non si trova nessuno disposto un po’ a sacrificarsi per il bene di tutti.
E allora? Allora niente, andiamo anche noi a “impresenziare” da qualche parte e buona notte a tutti.
Però riflettiamo gente, riflettiamo!

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