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venerdì, settembre 24, 2004

E l'Europa cosa fa? 

In occasione del dibattito all’Assemblea dell’O.N.U. sulla riforma del Consiglio di Sicurezza, da più parti si invoca la partecipazione non più a livello di stati, ma con base regionale.
Questo, ovviamente, per l’Europa significherebbe che i vari paesi europei che fanno parte della U.E. dovrebbero essere rappresentati soltanto da uno (il delegato U.E. appunto) che parlerebbe per l’intera Europa.
Bella ipotesi, bel sogno, ma proprio soltanto un sogno. E la riprova l’abbiamo avuta con la crisi irakena, nel corso della quale il vecchio continente non è riuscito ad esprimere una posizione comune ed è andato in ordine sparso, fino a che la sua voce si è praticamente spenta.
Credo che non ci sia bisogno di rimarcare come in caso di crisi acute come quella che stiamo vivendo, l’unione dell’America con l’Europa rappresenta l’unica carta vincente che possiamo opporre alla violenza ed al terrorismo; gli U.S.A. senza l’Europa valgono la metà della loro potenza, l’Europa senza gli U.S.A. vale…poco o niente.
Questa è l’amara ma esatta considerazione che possiamo fare circa l’importanza dei continenti, ma a patto che la loro politica sia una ed una sola e che la loro voce sia una ed una sola.
Nel nostro caso invece cerchiamo sempre – per quel bizantinismo che tanto ci affascina – di legare con alcuni a scapito degli altri: la Francia che fino a qualche anno fa era strettamente legata all’Inghilterra, si è ora staccata da essa e si è avvicinata a Germania e Spagna, mentre l’Inghilterra si è unita a sua volta a Italia e Polonia.
Questo cosa dimostra? Soprattutto che anche in caso di crisi internazionale, i leader dei singoli paesi europei guardano l’evento alla luce dei loro interessi interni e non come rappresentanti del continente; con questo modo di agire è praticamente impensabile avere una sola posizione in campo, tanto è vero che la nuova Costituzione pone tali e tanti vincoli alle decisioni che, per forza di cose, non potranno essere che delle mediazioni o delle divisioni in blocchi.
In un futuro nemmeno tanto lontano, si affacceranno all’orizzonte internazionale delle “regioni” che – se non stiamo attenti – prenderanno il nostro posto accanto agli Stati Uniti: sto riferendomi al Sud America che non appena avrà risolto i suoi problemi economici sarà pronto a schierarsi; sto riferendomi al continente asiatico che – almeno sotto il profilo numerico – sarebbe in grado di polverizzare qualunque coalizione: pensiamo, solo per amore di discussione, ad un accordo tra la Cina, l’India e il Giappone. Se questi tre colossi s’intendono e capiscono che è loro interesse stare insieme, se ne accorgerà l’Europa con tutte le sue leggine che regolamentano la lunghezza del pisello e la grossezza delle arance, soli argomenti che trovano l’accordo tra tutti i paesi!
Negare che l’Europa sotto il profilo della regionalità non esiste è nascondere la testa sotto la sabbia; negare che i Paesi attualmente aderenti all’unione non sono in grado di formulare una politica estera comune è come voler negare l’evidenza; qualunque altra considerazione lascia il tempo che trova e rimanda – eventualmente – ad un futuro che non è affatto imminente, mentre le crisi con l’islam non ammettono proroghe e non ci concedono ancora tanto tempo.

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